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Getatchew Mekuria, il Negus del sax etiopico

In scena portava spesso copricapi come il lemd, che rinvia alle spoglie di un animale ucciso, o il goferé, che richiama la criniera di un leone: nella tradizione etiopica acconciature tipiche di chi intonava il shellèla, un genere di canto guerriero epico-declamatorio destinato a darsi coraggio e a galvanizzare i compagni prima della battaglia: non riservato ai cantanti di professione, poteva essere intonato e improvvisato da chiunque.

Getatchew Mekuria, un vero leone del sassofono in Etiopia, aveva avuto l’intuizione di tradurre questo stile in forma strumentale: un’idea che ha contribuito alla sua fortuna e a dargli la statura di sassofonista per eccellenza della musica etiopica moderna, nella quale il sassofono è stato il principe degli strumenti a fiato. Con lui, mancato ad Addis Abeba il 4 aprile, scompare una delle figure più importanti della musica etiopica moderna, e uno dei suoi esponenti più noti a livello internazionale, assieme a Mulatu Astatke e a Mahmoud Ahmed.

Nato nel 1935 a Yefat, nello Shewa, la provincia centrale dell’Etiopia, Getatchew è suggestionato dal sassofono fin da bambino: “Da piccolo, quando andavo al cinema, se vedevo qualcuno che suonava il sassofono rimanevo affascinato”, ci aveva raccontato ad Addis Abeba nel 2006. “Ho cominciato suonando nelle feste il flauto tradizionale etiopico. E’ proprio nelle feste che ho cominciato ad amare la musica. A tredici anni sono entrato nella banda municipale di Addis Abeba, e ho iniziato a studiare clarinetto, sax contralto, baritono, tamburo, e alla fine mi sono fermato sul sax tenore e sul clarinetto”.

I suoi insegnanti di strumento sono musicisti venuti dall’estero; particolari modelli stilistici stranieri nell’intervista Mekuria però non ne citava: “Avevo cominciato a studiare la notazione europea ma poi, vista la mia passione per la musica etiopica, ho cercato di combinare il sassofono con le modalità del krar (la lira tradizionale a cinque o sei corde, ndr) e del massenko”. E’ soprattutto sull’impronta del linguaggio del violino monocorde etiopico che si forma lo stile non convenzionale e non consolatorio di Mekuria: “Suonavo il sax con l’andatura del massenko”, ci aveva confermato, smentendo però di aver praticato questo strumento prima del sax, come invece si legge nelle note di copertina di Negus of Ethiopian Sax, il volume della collana éthiopiques a lui dedicato. Con questo indirizzo espressivo legato al massenko e al shellèla Mekuria si distingue rispetto ai sassofonisti della sua generazione, che aspiravano ad un suono più occidentale, più emancipato dalla tradizione.

A partire dal ’55 Mekuria fa parte dell’orchestra del teatro Haile Selassie, e alla metà degli anni sessanta entra poi nell’orchestra della polizia – una delle grandi fucine, assieme alle formazioni di altri corpi militari, della musica etiopica moderna – e accompagna cantanti tra i più famosi, come Alemayehu Esheté, Hirout Bekelé e Ayalew Mesfin.

Nel ’72 escono due suoi 45 giri e un Lp, poi ripubblicati, con in più una registrazione della fine degli anni cinquanta, in Negus of Ethiopian Sax (Buda Musique, 2003). Materiale in cui si ritrovano molti degli elementi che fanno la grandezza della musica etiopica moderna degli anni d’oro: andamenti ipnotici, atmosfere orientaleggianti cariche di sensuale suspence, sound fascinoso (complice il sapiente impiego dell’organo elettrico), e, essenziale, il protagonismo di una voce di temperamento. Che in questo caso è quella del sax tenore di Mekuria: adattissimo a sostituirsi a una voce umana nel ruolo che al canto è assegnato dal shellèla. Il tenore di Mekuria è virile, il suo eloquio sicuro e convincente, e con grande virtù oratoria il sax si lancia impavido in lunghe e incalzanti sfide.

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Il retroterra del suo stile nelle modalità del massenko è evidente, ma sentendo la densità, l’intensità, e quella che ai nostri orecchi appare come libertà dell’improvvisazione di Mekuria, viene da pensare alle forme più audaci del jazz, al free jazz emerso oltre Atlantico alla fine degli anni cinquanta: ma di free jazz Mekuria ha sempre assicurato di non saperne niente e di avere cominciato a suonare con questo abbandono già fin dalla prima metà dei Cinquanta. Nel negare un’influenza del jazz con noi era stato tassativo: “Io non ho preso niente, non ho sentito niente, non ho avuto neanche tanto tempo per ascoltare la musica straniera e ho sempre cercato di creare la mia musica. Anzi sono convinto che sono gli statunitensi ad aver preso la nostra musica, la musica delle etnie gouraghe e welaita, e poi ce l’hanno riportata come jazz: sono convinto che questa musica nasca da qui”.

Dal ’74 – l’anno della presa del potere da parte dei militari del Derg, con cui la musica etiopica entra in un tunnel quasi ventennale di dittatura e coprifuoco – e fino al ’94 Mekuria è professore di musica. Poi comincia a lavorare tutte le settimane al Sunset Bar, il costoso club privato di uno degli alberghi più lussuosi di tutta l’Africa, lo Sheraton di Addis Abeba: per anni suona in duo con il pianista Ezra Abaté, proponendo ai clienti canzoni etiopiche famose e successi occidentali. Il contratto con lo Sheraton è di esclusiva, e fuori dall’hotel gli consente di suonare nella capitale etiopica solo per eventi specialissimi, come il cinquantenario del teatro nazionale.

A dargli occasioni per evadere dalla routine del Sunset, portandolo varie volte in Europa e anche negli Stati Uniti e in Canada, è la notorietà internazionale seguita all’uscita nel 2003 di Negus of Ethiopian Sax, quattordicesimo volume di una collana a quel punto ormai di culto come éthiopiques, e l’arrivo in Etiopia – incuriositi attraverso appunto éthiopiques dalla musica etiopica moderna – dello storico gruppo punk olandese The Ex, e con loro del batterista Han Bennink, caposcuola dell’improvvisazione radicale europea.

L’amicizia che si stabilisce fra Mekuria e gli olandesi viene sancita, oltre che da numerosi concerti all’estero, da un album registrato, in parte dal vivo, in Europa nel 2006, dove, oltre al gruppo punk, ha accanto musicisti di area improvvisativa, come il clarinettista francese Xavier Charles, in rivisitazioni di materiali etiopici, tradizionali o pescati nel repertorio della musica moderna: Getatchew Mekuria, The Ex & Guests, Moa Anbessa, pubblicato dalla Terp, l’etichetta degli Ex.

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Panciuto signore settantenne in abito da sera e cravattino, a vederlo nelle sue vesti di intrattenitore nella elegante cornice del Sunset – un raccolto salotto con arredo di stile nautico – dove lo avevamo incontrato nel 2006, Mekuria non sembrava esattamente il tipo che potesse intendersi con un gruppo punk olandese – sia pure già stagionato come The Ex – col mito della breve estate dell’anarchia. Ma sul palco con loro, Mekuria tirava fuori le zampate di un vecchio, non ammansito leone, e il suo incontro con i musicisti europei era tutt’altro che una semplice curiosità, come diverse volte si è potuto constatare (ricordiamo in particolare una bella serata “etiopica” del festival Banlieues Bleues a Parigi nella primavera del 2006).

Nella ormai lunga vicenda della world music, il connubio Mekuria-The Ex va anzi annoverato tra i rari casi in cui nell’incontro tra musicisti appartenenti a mondi musicali del tutto differenti si è creato un vero valore aggiunto. Da parte degli Ex c’è stato un rapporto non occasionale e sincero con la musica etiopica, maturato in diverse visite nel Corno d’Africa, che ha consentito una immedesimazione affettuosa e credibile, e in gioco è entrata la loro personalità e sensibilità, che ha permesso al gruppo di cogliere lucidamente come molti aspetti del proprio linguaggio potessero non già risultare scardinanti, ma anzi esaltare certi lati dell’estetica musicale etiopica, per esempio la sua frequente propensione epica: con Mekuria ha funzionato benissimo, nel corroborare il suo slancio battagliero. La logica appariva quella dell’arricchimento reciproco, senza ombra di paternalismo europeo, e senza mai scadere nella banalità del fare qualcosa di “divertente”: gli Ex avevano constatato che la musica moderna etiopica è grande musica, che raggiunge vertici di straordinaria nobiltà e pathos, e cercavano di realizzare un ibrido che fosse all’altezza di quella tradizione. E lo spirito di sfida dello shellèla si è sposato benissimo con l’animo ribelle e barricadero, un po’ Clash e scontri di strada, un po’ no pasaran, degli Ex; come il “free” involontario di Mekuria si è combinato egregiamente con il non conformismo e il radicalismo del jazz d’avanguardia degli improvvisatori coinvolti dagli Ex.

Al primo Cd ne è seguito un secondo, doppio: Getatchew Mekuria & The Ex & Friends, Y’Anbessaw Tezeta (Terp, 2012), registrato fra Europa e Canada tra il 2004 e il 2011, in cui, oltre a figurare con The Ex e alcuni improvvisatori (fra cui il sassofonista Ken Vandermark, figura di punta della scena di Chicago), in alcuni brani Mekuria è con la ICP, storica e cruciale compagine olandese (con Han Bennink, uno dei suoi fondatori, alla batteria) dell’improvvisazione europea; l’album è completato da due brani incisi da Mekuria nei primi anni sessanta, uno con l’orchestra della polizia, rintracciati da The Ex in una vecchia cassetta trovata ad Addis Abeba. La collaborazione con The Ex è testimoniata anche da un Dvd: Gétatchèw Mèkurya & The Ex + Guests, 11 ethio-punk songs, pubblicato nel 2007 dalla Buda Musique nella collana éthioSonic parallela a éthiopiques. Mekuria compare anche nel Dvd celebrativo dei venticinque anni di carriera degli Ex, Convoy Tour (Ex Records, 2009).

Un brano di Negus of Ethiopian Sax, intitolato proprio Shellèla, è stato campionato per I Come Prepared, singolo del 2009 del rapper K’Naan e di Damian Marley.

Già da qualche anno Mekuria aveva lasciato il suo lavoro al Sunset. Soffriva di diabete e la sua salute era precaria. Il ricordo che ci è rimasto di Getatchew Mekuria dall’incontro ad Addis Abeba nel 2006 è quello di una persona semplice e affabile. La conversazione si era svolta con un interprete di amarico, e per sbobinare l’intervista era poi stato necessario l’aiuto di amici etiopi di Milano, perché Mekuria non parlava inglese: “Sulle cose che si imparano a scuola – si era quasi scusato – non sono bravo, perché ho cominciato subito con la musica, e per la passione per la musica saltavo la scuola e non ho studiato”.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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