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Francia, “l’ibernazione della democrazia”

La Francia è in guerra”, ha detto il presidente francese François Hollande durante il discorso davanti al Parlamento francese.

Il pacchetto di misure proposto da Hollande richiama quello messo a punto dall’amministrazione di George W. Bush dopo l’11 settembre. Il presidente ha chiesto al Parlamento di agire con urgenza per approvare una legge che dia al governo più flessibilità nella possibilità di condurre raid di polizia senza un mandato e mettere in stato di arresto i sospetti. Previste anche centinaia di assunzioni nella polizia e nei settori della sicurezza, oltre a modifiche nella nozione stessa di cittadinanza.

Le proposte di Hollande, che hanno ricevuto l’appoggio della destra francese, suscitano invece le preoccupazioni dei gruppi per i diritti civili.

Ma vediamo nel dettaglio alcune delle misure proposte da Hollande.

L’état d’urgence. Si tratta di un regime “eccezionale” che secondo la legge attuale può durare un massimo di 12 giorni e che deve essere dichiarato per decreto. Mercoledì verrà presentata una legge al Consiglio dei Ministri, per essere poi votata dal Parlamento, che prevede un prolungamento dello “stato di urgenza” di tre mesi. Per ottenerlo, Hollande ha bisogno di una modifica della Costituzione. Lo stato di urgenza, recita il testo attuale, è previsto in caso di “pericolo imminente risultante da gravi attentati all’ordine pubblico”. Creato ai tempi della guerra in Algeria, dà ai prefetti, quindi al governo, poteri straordinari di limitazione delle libertà. Tra questi, c’è la possibilità di costringere un sospetto alla residenza forzata e di condurre perquisizioni senza aver ottenuto un mandato giudiziario. Di fronte alla richiesta del governo di prolungare l’ “état d’urgence” di tre mesi, c’è stata la reazione di molti gruppi per i diritti. Ha detto Pierre Tartakowsky, presidente onorario della Ligue des droits de l’homme: “Mettere la democrazia in ibernazione non è il miglior modo di difenderla”. Il timore è che, dopo un primo allungamento di tre mesi, lo “stato di urgenza” venga reso definitivo.

Decadenza dalla nazionalità. La reclama il Front National e buona parte della destra. Hollande la decide. La “decadenza dalla nazionalità” verrà resa più facile “per una persona condannata per atti di terrorismo”. Prevista dall’articolo 25 del codice civile, la decadenza è ora possibile in caso di crimini o delitti molto gravi. Con tre limiti: si deve trattare di persone con doppia cittadinanza (la Francia non può infatti creare degli apolidi); le persone private della cittadinanza devono avere acquisito la nazionalità francese nel corso della loro vita, e non alla nascita; possono essere private del passaporto francese solfano nei dieci anni successivi alla naturalizzazione. Con la nuova legge che Hollande vuole approvare, sarà possibile privare della cittadinanza anche quei cittadini con doppia cittadinanza, ma nati in Francia. Potrà essere impedito ai possessori di doppia nazionalità di tornare in Francia, nel caso siano riconosciuti come soggetti pericolosi. Anche qui, ci sono già obiezioni “di diritto”. La misura, secondo il giurista Serge Slama, potrebbe contraddire la Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, secondo cui “nessuno può essere privato del diritto di entrare sul territorio dello Stato di cui è cittadino”. Tra le misure previste, anche la possibilità di espellere più facilmente “coloro che rappresentano una minaccia alla sicurezza”. Una misura che sembra modellata sugli imam e i fedeli delle moschee più radicali.

Il “patto di sicurezza”. Fare la guerra al terrorismo, implica un “aumento delle spese”, ha chiarito Hollande davanti al Parlamento francese. Il “patto di sicurezza” avrà dunque effetti sul “patto di stabilità” finanziaria. Previsti 5000 nuovi posti nella Gendarmeria, 2500 posizioni nell’apparato giudiziario e 1000 per le operazioni di confine. Si tratta di 8500 nuovi posti creati nell’apparato della sicurezza e di una spesa massiccia per le finanze dello Stato – in personale e nell’adozione di nuovi strumenti tecnologici e di controllo – che rischia di allontanare la Francia dall’obiettivo del 3% del rapporto deficit/Pil.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Il grande flop delle case della salute. Solo il 5% è pienamente funzionante. La denuncia del Pd lombardo

    Dovevano essere i presidi con cui ricostruire la sanità sul territorio in Lombardia, ma finora le case di comunità sono state un flop. 216 sono quelle previste entro la scadenza dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che arriverà a giugno 2026. Al momento 140 hanno aperto, ma solo otto in tutta la regione (sei in provincia di Bergamo e due nel varesotto) hanno tutti i requisiti obbligatori previsti dalla legge. In totale sono meno del 6 percento. La denuncia è del gruppo consiliare del Partito democratico lombardo che ha fatto un accesso agli atti alla direzione generale Welfare per ognuna delle case di comunità attive in Lombardia. L’assessorato ha replicato che i numeri diffusi “sono usati in modo difforme dalla realtà. Le rilevazioni mostrano percentuali elevate di attuazione per la maggior parte dei servizi obbligatori”. Per il capogruppo del Pd al Pirellone, Pierfrancesco Majorino, “Regione Lombardia è in colpevole ritardo”.

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