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Francesco Zambon: “Quella sul covid a Bergamo è l’indagine del secolo”

Alzano Lombardo francesco zambon

Francesco Zambon, ex funzionario dell’OMS. ha denunciato nei mesi scorsi l’opacità dell’OMS e del governo italiano davanti alla pandemia. Nei giorni scorsi ha parlato nell’epicentro dell’epidemia Lombarda, Alzano, davanti ai familiari delle tante vittime. Nella puntata di Prisma di martedì  6 luglio 2021, Roberto Maggioni lo ha intervistato.

Com’è stato andare a parlare ad Alzano Lombardo, il luogo centrale della storia del Covid in Italia?

È stato piuttosto intenso, mi ha fatto piacere avere la possibilità fare questo incontro.
In questi giorni sto girando l’Italia per la presentazione del mio libro “Il pesce piccolo” e questo mi dà la possibilità  di incontrare tantissima gente e capire qual è la percezione di questa catastrofe.
Ad Alzano si respira ancora il lutto. Ci vorrà tanto tempo per elaborarlo. Dopo l’incontro ho parlato con tante persone, una coppia giovane mi ha detto di aver perso tre dei loro quattro genitori nel giro di un mese. Sono cose che in altre parti d’Italia è difficile immaginare.
Io stesso, pur conoscendo bene la vicenda, mi sono trovato in difficoltà a parlare con queste persone.
La storia di Bergamo e Alzano dovrebbe essere raccontata di più, anche per aiutare a far emergere le responsabilità.

Nel suo report all’OMS, e nel suo libro “Il pesce piccolo”, ha confrontato le vicende bergamasche e quelle lombarde, cosa può dirci a riguardo?

Nel rapporto all’OMS, quello che è stato censurato in seguito a pressioni da parte di Ranieri Guerra e altre persone ai vertici, facevamo delle considerazioni riguardo la risposta alla prima ondata in Lombardia e Veneto. Lo facevamo solo perché, all’epoca, c’erano già studi scientifici finalizzati a capire come mai le due risposte fossero state così diverse. Il fine degli studi non era quello di puntare il dito, ma far capire agli altri stati cosa fare e cosa evitare per gestire al meglio la pandemia.
La cosa risultò subito scomoda all’OMS.

Da chi venne questa forma di auto ingerenza?

Questa forma di autocensura venne dall’OMS stessa.
L’OMS non voleva che si parlasse di cose che avrebbero potuto mettere in difficoltà il governo italiano.
Decisi comunque di scrivere nel report che Lombardia e Veneto ebbero reazioni diverse a causa dei loro sistemi sanitari regionali completamente differenti.
Questa informazione sarebbe stata importante per gli stati che ancora non si erano interfacciati con il Covid, ma come sappiamo il report venne ritirato.

Quindi l’OMS preferì non mostrare le risposte differenti delle regioni? 

Si, ma c’erano tante altre cose di cui l’OMS preferiva non parlare.
Non si poteva dire, ad esempio, che il tampone effettuato su quello che si pensava essere il paziente uno di Codogno, era stato fatto contro le linee guida dell’epoca che riservavano il tampone solo a chi aveva avuto contatti diretti con la Cina.
Parlarne, secondo i vertici, avrebbe messo in difficoltà l’OMS e il governo italiano.

L’OMS, stava cercando di giustificare le azioni del governo italiano dimenticandosi che giustificare un governo non è  compito suo.

In seguito a queste denunce ha perso il lavoro all’OMS. In particolare ha denunciato che il piano pandemico nazionale non era stato aggiornato ed era fermo al 2006. Vuole parlarcene?

Si, questa denuncia è stata la” miccia che ha innescato la bomba”.
Nel testo dell’OMS, che era la prima documentazione della risposta di un Paese al Covid, si parlava dello strumento più importante per combattere la pandemia: il piano pandemico.
Nelle prime righe del rapporto censurato si diceva che l’Italia era dotata di un piano pandemico risalente al 2006. Abbiamo riscontrato che il piano era rimasto teorico, un documento da scaffale che non era mai stato implementato, non erano mai state fatte esercitazioni o formazioni sul personale.
Da qui parti tutto il disastro che poi portò alle mie dimissioni. Ci fu uno scontro piuttosto acceso tra me e Ranieri Guerra, che quando vide questo testo interferì. Disse che il piano era stato aggiornato nel 2016. Cosa che oggi sappiamo essere assolutamente falsa.
Ranieri voleva che modificassi il teso, perché era stato direttore generale della prevenzione dal 2014 al 2017, mentre adesso riveste ruoli apicali nell’OMS.
Ovviamente io non potevo farlo.

Ci furono interferenze anche da parte del ministero della salute? 

Si, questo è inconfutabile. A livello romano fecero di tutto per sviare la cosa.
Si è parlato tanto delle chat in cui Ranieri Guerra dice a Silvio Brusaferro di aver fatto ritirare il “maledetto” rapporto e in cui mi definisce il “somarello di Venezia”. La cosa più grave emersa da quelle chat però, è che Zaccardi, il capo di gabinetto di Speranza che agisce di concerto con il Ministro, ha chiesto di far “morire” il rapporto.
Se questa non è l’interferenza di un governo qualcuno deve spiegarmi cos’è.

Speranza ha sempre detto che queste sono vicende interne all’OMS e ha dichiarato di non essere coinvolto nel ritiro del report. È d’accordo?

Non credo sia così. Speranza ha telefonato direttamente al Direttore regionale per l’Europa dell’OMS Hans Henri P. Kluge, per lamentarsi del rapporto. Non credo che questo report, seppur molto utile per tutti gli altri stati fuori dall’Italia, fosse innocuo ai suoi occhi. Il rapporto serviva ad aiutare gli altri stati ad affrontare meglio la pandemia ed è molto grave che sia stato ritirato per questioni di conflitti personali.

L’OMS ha cercato di impedirle di raccontare ai magistrati della procura di Bergamo quanto era accaduto?

Si, purtroppo c’è stata tutta una serie di episodi molto gravi.
Molto dopo il ritiro della pubblicazione, in autunno inoltrato, il rapporto censurato venne consegnato dall’associazione dei familiari delle vittime ai magistrati di Bergamo, che chiamarono undici soggetti come persone informate dei fatti. Ranieri Guerra era uno di questi, gli altri dieci eravamo io e gli altri autori del rapporto censurato.
La cosa molto grave è che l’unica persona che fu ascoltata fu Ranieri Guerra.
Ai dieci autori del rapporto venne impedito, con lettere piuttosto pesanti dell’OMS, di presentarsi alla procura di Bergamo. Io venni riconvocato per tre volte e l’OMS disse sempre “No, Zambon non può andare”. A metà dicembre, poiché la faccenda si stava ingigantendo e venivano raccontate sempre più bugie, decisi di presentarmi spontaneamente alla questura di Bergamo, anche senza l’autorizzazione dell’OMS.

Che clima ha trovato in procura? Che idea si è fatto dell’indagine che i magistrati bergamaschi stanno svolgendo?

In procura mi sono fatto un’ idea chiarissima. Ho trovato delle persone preparatissime, si capiva perfettamente da tutte le domande che mi ponevano che erano a conoscenza di tutti i dettagli. La loro preparazione si evince anche dalla determinazione che hanno mostrato nei mesi successivi.
Dopo essere stato iscritto nel registro degli indagati per aver fornito false informazioni a pubblico ministero Ranieri Guerra ha accusato me di aver dichiarato il falso.
Per mettere fine a questa vicenda, circa due settimane fa, sono tornato in procura a depositare una serie documenti (182 allegati per un totale di 1500 pagine di materiale).
Non posso accettare che qualcuno cerchi di diffamare me per difendere se stesso.
Ancora una volta ho trovato una magistratura molto forte. Il mio augurio è che non ci siano interferenze, perché questa sarebbe la cosa peggiore che potrebbe accadere, non tanto alla bergamasca o alla Lombardia, ma all’Italia intera.
Questa è l’indagine del secolo.

In seguito alle denunce si dimesso dall’OMS. Può raccontarci cos’è successo?
Mi sono dimesso dall’OMS alla fine di marzo del 2021, perché sono stato progressivamente isolato e non era più un ambiente dov’era possibile lavorare. Non mi riconoscevo più nell’organizzazione per cui ho lavorato per 15 anni, pur credendo nei valori costitutivi dell’OMS, che sono trasparenza, indipendenza e rispetto dello staff. Valori che sono stati gravemente violati.
L’OMS ha preferito non pubblicare un rapporto che avrebbe potuto portare salvezza ai cittadini del mondo, in un momento in cui non c’erano informazioni disponibili su come difendersi. Per questo non mi sono più riconosciuto nell’organizzazione e ho preferito dimettermi, rinunciando a un contratto a tempo indeterminato di un certo valore.
È stato un passo che nemmeno l’OMS si aspettava, ma che mi ha permesso di essere libero di parlare con la stampa e di scrivere il mio libro.
Francesco Zambon, non ha ricevuto nessun sostegno all’interno dell’OMS?
No, a parte quattro o cinque persone.
All’interno dell’OMS regna un clima di terrore. Questa è una cosa molto grave che è stata portata alla luce anche da una lettera aperta pubblicata da International, un ente che si occupa di anticorruzione, in cui tutte le più importanti organizzazioni mondiali affermano che il mio caso è stato gestito in maniera terrificante e che il  modo in cui è stato trattato favorisce un clima omertoso all’interno delle Nazioni Unite. Non è una lettera dai toni delicati.
Nonostante questo l’OMS va avanti per la sua strada come se non avesse mai ricevuto niente, perché di fatto ha eretto un muro di gomma e regna un clima del terrore. Nessuno si schiera. La linea è quella di dire: “I panni sporchi si lavano in casa”. Peccato che ci siano delle policy, all’interno dell’OMS, che dicono che se i panni sporchi non vengono lavati entro un certo periodo lo staff ha diritto di rivolgersi all’esterno per cercare giustizia.
Ci sono stati altri casi simili?
Si, certo. Ci sono degli scandali di ben maggior gravità, che sono emersi in queste settimane in seguito all’indagine che l’OMS ha svolto sull’origine del virus in Cina.
È emerso che questa indagine è tutt’altro che indipendente.
Questa è una cosa molto grave. Non solo per l’Italia, ma per tutto il mondo.
Adesso cosa sta facendo? Cosa farà in futuro?
In questi mesi sto facendo tantissime presentazioni per il libro “Il pesce piccolo”, perché vorrei che questa storia, che ho deciso di documentare con questo libro, sia resa nota al grande pubblico. Credo che l’unico modo per cambiare l’OMS sia farla conoscere agli italiani, in modo che ne richiedano una ristrutturazione radicale.
La ristrutturazione deve partire dai cittadini. Per il futuro spero ci siano delle possibilità lavorative.

Lei ha intitolato il suo libro “Il pesce piccolo”, non ha paura di ritrovare quei pesci grossi sulla sua strada?

No. Sulla mia strada ho trovato tantissimi pesci piccoli e insieme siamo più pericolosi per i pesci grossi dei pesci grossi stessi.

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    Redazione
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