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“Fonti fossili roba vecchia, serve una svolta”

A tre settimane dal referendum del 17 aprile, gli italiani sembrano ancora poco interessati e ancor meno informati sull’oggetto del voto. I sondaggi però dicono una cosa interessante. Quelli che sanno sanno dell’esistenza del referendum e ne conoscono il contenuto sono ancora pochi. Ma, una volta informati, non hanno dubbi: voterebbero sì. Per questo l’informazione sui contenuti, il dibattito, il confronto delle idee restano fondamentali. Nonostante la scarsa attenzione dei media, almeno quelli più diffusi, quelli che arrivano nelle case della maggior parte dei cittadini. C’è l’ostacolo dell’apparente difficoltà del quesito e della materia certamente di non immediata comprensione. Il voto del 17 aprile riguarda la durata delle concessioni per le trivellazioni in mare entro le 12 miglia (circa 20 kilometri, le cosiddette acque contigue). Si vuole che una volta scaduta la concessione l’attività estrattiva venga abbandonata? Allora bisogna votare Sì. Al contrario, chi vuole che la concessione prosegua senza un termine, fino a che il giacimento non si esaurisce, deve votare No.

Questo è, in estrema sintesi, l’oggetto del referendum. Ma, tra i sostenitori del Sì, c’è chi vede nel voto del 17 aprile qualcosa di molto più ampio e importante. Tra questi c’è il geologo Mario Tozzi, già ricercatore del Cnr, poi divulgatore scientifico e conduttore Tv.

Tozzi, questo è un referendum tecnico?

Sì, lo è, come del resto lo sono tutti, ma il valore simbolico è forte. Significa che se vincessero i Sì finalmente il nostro paese si allineerebbe con quella che è l’unica posizione possibile oggi: l’abbandono dei combustibili fossili.

Quel è il punto cruciale?

Non è tanto che le trivellazioni facciano danni, provochino terremoti, questo no. Sono sciocchezze senza senso. Oppure che sfregino il paesaggio. Questo è vero in alcuni casi ma non in tutti. Il problema vero è che se tu continui a cercare nuovi idrocarburi, e poi li dovrai raffinare e bruciare, non ti allineerai mai agli obiettivi che invece, anche come governo nazionale, sostieni di voler perseguire.

Quindi è un referendum molto politico?

Senz’altro sì, è questo l’aspetto prevalente. E anche se il referendum non raggiungesse il quorum, una volta che è stato scoraggiato in tutti i modi non accorpandolo con le amministrative, e poi dicendo che è inutile e invitando ad andare in campagna, il valore politico rimane.

Lei è geologo, ha mai partecipato ad attività estrattive?

Sì, certo, come geologo ho partecipato diverse volte a prospezioni petrolifere, non sono particolarmente dannose in sé, il loro impatto ambientale è contenuto nella maggior parte dei casi e gli incidenti sono molto rari. Ma, ripeto, il problema non è questo. E’ un problema di prospettiva. E poi queste attività vengono favorite da un fattore preciso.

Quale?

In Italia le royalties che le compagnie petrolifere pagano per avere un permesso di prospezione – con il quale sono obbligate a fare almeno un pozzo – sono particolarmente basse. Mentre in molti paesi del mondo arrivano anche al 75%, da noi sono scarse, tra il 10 e il 20%. E’ molto favorita la possibilità di fare prospezione perché sai che nel caso di ritrovamento non pagherai poi tanto di royalties all’Italia.

Perché questa scelta?

Si faceva così un tempo perché l’Italia la si riteneva povera di petrolio, dunque per invogliare le compagnie si dava questa sorta di incentivo. Oggi non è più così perché abbiamo scoperto che in Italia c’è il giacimento petrolifero on-shore, sulla terraferma, più grande d’Europa, che è quello della Lucania. E nell’Adriatico e nello Ionio, cambiata la tecnologia, ed essendo possibile arrivare più in profondità, i giacimenti ci sono. E allora almeno le royalties andrebbero aumentate.

Le sostiene che l’industria degli idrocarburi è una “roba vecchia”. Perché?

Ma sì, affidarsi agli idrocarburi è una scelta vecchia, non al passo con le possibilità delle nuove tecnologie sostenibili. Ed è una scelta voluta da un ministero dello sviluppo economico guidato da un ministro assolutamente inadeguato alle sfide moderne. Il ministro Federica Guidi è un ministro di un vecchio modo di fare industria e politica che non c’è più in nessuna parte del mondo. Vecchio, vecchio, vecchio.

Perché dice che il governo è inadeguato su questo tema?

Bé, lo si è visto. Cercano cancellare gli incentivi alle energie rinnovabili, come se col sole si potesse solo accendere una lampadina! Incentivano la creazione di nuovi inceneritori. E fanno la scelta che sappiamo sulle trivellazioni. Si perseguono obiettivi vecchi: è la vecchia Confindustria, di cent’anni fa! La classe imprenditoriale italiana è vecchia, poco coraggiosa e incapace di innovazione e di ricerca.

Cosa dovrebbero chiedere i cittadini in materia energetica?

L’abbandono progressivo delle fonti fossili. Se noi abbiamo aderito all’accordo sul clima di Parigi, vuol dire che entro il 2050 dovremo tagliare le nostre emissioni inquinanti. E quando lo facciamo? Nel 2049? Devi cominciare adesso, non c’è tempo da perdere, a investire sulle energie rinnovabili e su quelle incentrare tutta la trategia energetica del Paese.

Viene paventata la perdita di posti di lavoro nell’industria estrattiva…

Ma per cortesia! Io sono senza parole… La riconversione delle attività estrattive in attività sostenibili da un punto di vista ambientale comporta sempre un aumento dei posti di lavoro. La rima conferenza stampa del presidente Obama, appena eletto nel primo mandato, fu da una fabbrica di pale eoliche che si era appena riconvertita dopo aver prodotto per decenni trivelle petrolifere. Ma poi questa storia del ricatto dei posti di lavoro! Produciamo pure dei veleni, allora! Io rimango stupefatto di fronte a certe affermazioni, Si parla di riconversione ecologica in tutto il mondo e da noi no perché sennò si perdono i posti di lavoro? Contnuiamo così, bene l’Ilva, bene Marghera, continuiamo così…

Ma gli italiani andranno a votare?

Non lo so, mi pare che il significato profondo, politico, importantissimo di questo referendum sfugga. La politica e spesso anche i media sembra che lo ritengano un fastidio da togliersi di torno il prima possibile. Questo referendum non va trasformato in una battaglia partitica, pro o contro Renzi. Ha un senso questo referendum da punto di vista della futura politica ambientale? Secondo me ce l’ha. Che modello di sviluppo energetico vogliamo per il nostro Paese? Questa è la questione vera che c’è in gioco.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    Tre anni di Chat Gpt. Il 30 novembre 2022 la società californiana Open AI metteva a disposizione degli utenti, gratuitamente, il primo software di intelligenza artificiale (IA). A distanza di tre anni c’è una bolla speculativa, generata dagli investimenti multi-miliardari nell’IA, che rischia di scoppiare su Wall Street. Non è escluso, però, che si sgonfi lentamente, senza provocare grossi danni. Un’ipotesi che i capi di Big Tech (le grandi società tecnologiche da Apple a Microsoft, da Google a Amazon, a Meta e a diverse altre) sembrano escludere, preferendo messaggi allarmistici. Sundar Pichai, amministratore delegato di Google-Alphabet qualche giorno fa ha detto: se scoppiasse una bolla nel settore dell'IA «nessuna azienda ne sarebbe immune, inclusi noi». Pubblica ha ospitato il giornalista e saggista Michele Mezza e la filosofa della scienza Teresa Numerico.

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    Al via le prove sulle tre materie del semestre filtro (chimia, fisica e biologia) per tutti i pre-iscritti a Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Veterinaria, poi per tutti quelli che avranno passato i tre testi (scritti a risposta multipla) andranno in una graduatoria dove poi verranno ammessi a numero chiuso (per le università private e telematiche invece è rimasto lo sbarramento del test d’entrata). “Era difficile fare peggio del numero chiuso, ma la ministra c’è riuscita. Il numero chiuso spostato da settembre a gennaio è una ingiustizia in più e un favore ai privati”. Alessandro Bruscella, Coordinatore nazionale Unione degli Universitari, presenta il ricorso collettivo che da oggi verrà annunciato sotto il ministero con una manifestazione con Rete degli Studenti e altre organizzazioni. “Ci vuole un investimento strutturale, corsi di accesso aperti e poi specializzazioni anche a numero chiuso. Invece ci sono tagli ovunque”. Ascolta l'intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli ad Alessandro Bruscella.

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