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Feud, storie di rivalità

Quando Ryan Murphy, autore tra le altre cose di American Horror Story, ha annunciato di voler produrre una serie antologica sulle più celebri rivalità interne al mondo dello spettacolo, quel che tutti si aspettavano era una ricostruzione degli eventi sfrontata e camp, complice il gusto per l’eccesso dello sceneggiatore, la sua abitudine di stare sempre sopra le righe.

Quando l’argomento della prima stagione è stato svelato, sembravano confermate le aspettative: lo show avrebbe rivisitato la pluridecennale rivalità tra Bette Davis e Joan Crawford, tra le più grandi dive della Hollywood classica, concentrandosi in particolare sulla complicata lavorazione del loro unico film insieme, Che fine ha fatto Baby Jane? di Robert Aldrich. Quando, però, a marzo 2017 (e ora anche in Italia, inspiegabilmente dopo 10 mesi, su Studio Universal) la serie è approdata in tv, le cose si sono rivelate diverse: certo, le piccole e grandi crudeltà che le due attrici si sono reciprocamente inflitte fino alla fine dei loro giorni ci sono tutte (resta celebre il commento di Davis alla morte di Crawford: «Non si può che parlare bene dei morti. Joan Crawford è morta. Bene»). Ma, per dirla con Olivia de Havilland, interpretata nella serie da Catherine Zeta Jones, «le rivalità non sono mai una questione d’odio, ma di sofferenza».

In Feud, Susan Sarandon interpreta Bette Davis, Jessica Lange è Joan Crawford, ed entrambe si calano con straordinaria mimesi nella parte, offrendoci due intense prove d’attrici, aiutate da un’ottima sceneggiatura e da un’evocativa ricostruzione d’epoca. Ma non ci sfugge il gioco di specchi: come Davis e Crawford, anche Sarandon e Lange sono interpreti straordinarie che, superata la mezza età, hanno faticato a trovare ruoli da protagoniste sul grande schermo. Di questo, tra le altre cose, parla la prima stagione di Feud, di un circolo vizioso in cui la ricerca spasmodica della fama (e il disperato tentativo di non perderla) alimentano un sistema sbilanciato, il cui vero potere sta tutto in mani e occhi maschili, che decidono chi sia degna d’essere ripresa e guardata, a discapito di chi è destinata a essere, fino alla fine, oggetto di sguardo, di giudizio, di scherno.

Gli otto episodi di Feud scivolano veloci, acuti e divertenti, tra aneddoti sui dietro le quinte e momenti iconici di Hollywood, facendosi anche agile lezione di storia del cinema, raccontando, oltre la lavorazione di Che fine ha fatto Baby Jane? anche quella di Piano piano dolce Carlotta, alcune cruciali notti degli Oscar, e gli apparentemente inevitabili declini delle carriere di Davis e Crawford, per arrivare a un finale implacabile e struggente. Le prossime stagioni di Feud dovrebbero raccontare le storie di Carlo e Diana e di Bill Clinton e Monica Lewinsky: scommettiamo che, oltre il gossip e gli scandali, sapranno dirci anche qualcosa di noi che non ci aspettiamo.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Società Civile per il No. È nato il comitato, promosso da vari esponenti della società civile, da sindacati, associazioni e realtà democratiche, che sostiene le ragioni del No al referendum costituzionale sulla riforma della Giustizia del Guardasigilli Carlo Nordio. Presieduto da Giovanni Bachelet, il comitato ha nel direttivo nomi importanti come il segretario della Cgil Maurizio Landini, la presidente di Libertà e Giustizia Daniela Padoan e l’ex ministra Rosy Bindi. I principali punti del comitato vertono sul fatto che una magistratura autonoma, indipendente, che non guarda in faccia a nessuno sia una cosa che conviene ai cittadini. Il prossimo 10 gennaio a Roma si terrà la prima assemblea generale, per la partenza della campagna referendaria, che vedrà la nascita di comitati territoriali in tutta Italia per lanciare una campagna informativa sulle ragioni del No. “Riteniamo che sia una battaglia per evitare che venga minato un principio fondamentale della nostra democrazia”, ha detto Rosy Bindi, che fa parte del direttivo del comitato, nella nostra trasmissione Radio Sveglia. L'intervista di Alessandro Braga.

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