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Fase 2: com’è la situazione a Arese? L’intervista alla sindaca Michela Palestra

fase 2 arese

A poco più di una settimana dall’avvio della Fase 2, qual è la situazione nel comuni dell’hinterland milanese? Siamo tornati ad Arese, comune di 19.300 abitanti a nord-ovest di Milano, dove il contagio non si è ancora fermato ed effettuare tamponi e test sierologici non è ancora facile e veloce.

L’intervista di Serena Tarabini alla sindaca di Arese Michela Palestra a Fino Alle Otto.

Come arriva Arese alla Fase 2?

Arese arriva, mi viene da dire, un po’ sotto choc perché a molti non sarà sfuggito che siamo stati protagonisti, assieme ad un altro Comune della Città metropolitana di Milano, di un articolo del Corriere della Sera in cui veniva citato uno studio che faceva risalire ad Arese uno dei primi casi tracciati al 15 gennaio. Per noi una doccia fredda. Al di là di quello, la situazione attuale è di 170 persone positive. Ovviamente crescono i guariti, ma abbiamo avuto anche 29 persone che non ce l’hanno fatta. Siamo arrivati in uno stato di stordimento per voler capire come mai si è arrivati a dire che il 15 gennaio sul territorio il virus c’era già e la fase 2 che ci vede preoccupati perché i casi ad Arese sono nella media, ma con un contagio che non si è mai fermato. Raramente abbiamo avuto un giorno in cui abbiamo comunicato che non c’erano contagi.
Da punto di vista operativo, rispetto quella che sono le facoltà concesse dai DPCM, noi abbiamo cercato di fare un patto di fiducia con i cittadini. Abbiamo riaperto i parchi, gli orti, il cimitero e sabato il primo mercato comunale all’aperto. Si sta cercando di rientrare a una normalità “prudente“, il territorio comincia ad essere frequentato, a volte fin troppo devo dire.

Tornando alla questione che ci ha raccontato, avete chiesto collaborazione alla Regione. Avete avuto risposta?

Io ho scritto una lettera il 1 maggio al Presidente della regione Fontana e all’Assessore Gallera, ho ricevuto la risposta venerdì scorso, ma non è stata quella sperata, perché ci è stato fornito qualche elemento in più sull’aspetto clinico della vicenda, ma non era questo il punto; noi siamo cittadini del mondo, siamo persone che viaggiano, si spostano, attraversano confini, come tutti. Non è dirimente sapere chi era il contagiato, perché poi quello che abbiamo vissuto noi è stata la caccia all’uomo, l’identificare chi fosse; il tema è capire da uno studio che ha rilevato la presenta del virus sul territorio cosa fare di questi dati, come mai ad esempio non si è sviluppato un focolaio, spiegare l’andamento sul territorio, e cosa può voler dire oggi quel dato a fronte del fatto che ci sono ancora dei casi. Quello che continueremo a chiedere con forza è non solo di darci qualche indicazione sulla vicenda specifica, ma soprattutto di approfondire sul territorio dal punto di vista epidemiologico quello che è successo con i necessari tamponi e test sierologici altrimenti da quel dato si sviluppa solo una curiosità non utile a capire cosa è successo, cosa succede e cosa succederà. Vedremo se riusciremo a condurre su questo la Regione Lombardia.

Dal punto di vista di tamponi e test sierologici com’è la situazione ad Arese in questa fase 2? Avete la possibilità di farli?

Su questo bisogna essere chiari: la funzione del Comune non è sanitaria; quello che sta succedendo in questa fase 2 è che finalmente si stanno allargando le possibilità di richieste da parte dei medici di base per fare tamponi e test sierologici. Mi dicevano che proprio ieri è cambiato il modo con cui si può segnalare. La casistica è un po’ più ampia, si va maggiormente verso la prevenzione e ovviamente l’identificazione del virus quando ci sono i sintomi, e questo è un dato positivo. La sorveglianza del territorio è in mano ai medici curanti e ai presidi sanitari. È pur vero che qualche comune ha proceduto facendo anche dei test seriologici a pagamento, patrocinandoli, ma dall’altra come Comuni siamo stati raggiunti da un mail di ATS che ci dice, testuali parole, che “quei programmi di test sierologici attivati sul territorio non sono coerenti con le indicazioni regionali e si pongono al di fuori delle misure di contenimento e di risposta all’emergenza“. Seguono una serie di moniti, per cui io dico che volentieri lasciamo in capo a ATS e a regione Lombardia, che sono i soggetti competenti, il compito di gestire indagini approfondite sui cittadini. Però diciamo anche con chiarezza che le persone chiedono di essere testate, vogliono sapere se sono entrate in contatto con il virus, vogliono sapere se sono pericolose per gli altri. Su questo la linea adottata dalla regione Lombardia era decisamente volta alla cura presso gli ospedali che ha depotenziato la medicina territoriale, o comunque non gli ha fornito gli strumenti sufficienti alla medicina territoriale. Noi abbiamo coltivato il rapporto con i medici curanti e abbiamo vissuto le loro difficoltà.

Foto dalla pagina Facebook del Comune di Arese

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    Caso Kirk: "Il Governo vuole creare un clima di paura" dice Benedetta Tobagi

    “Quelle che arrivano dalla maggioranza sono delle sciocchezze, che sarebbero grottesche se non fossero pericolose perché tradiscono una chiara volontà di creare un clima di paura e di allarme, criminalizzando tutta la galassia dell’opposizione”. Così Benedetta Tobagi, intervistata da Luigi Ambrosio all'Orizzonte delle Venti, sui reiterati attacchi del Governo alle opposizioni accusate di fomentare la violenza. “Anche per ciò che porto nel mio nome, l’Italia ha nella sua storia una sinistra antifascista e democratica che non è mai stata violenta. Figure come mio padre e Aldo Moro sono state colpite addirittura dal terrorismo di sinistra. Questa è la storia che vergognosamente Meloni, Tajani e Salvini non riconoscono e che, invece, deve essere la nostra forza”.

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    In diretta dall'Ucraina Sabato Angieri ci racconta delle profonde differenze che ormai segnano il paese tra territori in guerra e retrovie, di chi non vuole andarsene nonostante la guerra abbia distrutto spazi e vite e di come il fronte insista da due anni sugli stessi campi. Gianpaolo Scarante, docente all'Università di Padova ed ex-diplomatico analizza lo scontro verbale tra Russia e Nato e invoca il ritorno della ragione per evitare una escalation dei fatti. Emanuele Valenti ci aggiorna sull'entrata dei carri armati a Gaza City dopo giorni di bombardamenti mirati a distruggere tutti i palazzi principali della città per forzare la popolazione ad andarsene. Ma la popolazione non ha nessun posto dove andare. E anche chi avrebbe un visto di studio in Italia non riesce a uscire dall'inferno della Striscia lo raccontano le voci di alcuni degli studenti palestinesi che hanno vinto una borsa di studio nelle università italiane. Molti di loro hanno diffuso appelli sui social per chiedere di fare pressione sulle autorità italiane affinché organizzino la loro evacuazione immediata. Sentiamo le loro voci e ci spiega come stanno, chi sono e perché non si riesce ad aprire un corridoio umanitario per loro Stefano Simonetta, Prorettore ai Servizi agli Studenti e al Diritto allo Studio della Università Statale di Milano.

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