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Ereditarietà di un male planetario

Ricchi e poveri. I primi sempre più ricchi, i secondi sempre più numerosi. Sulla disuguaglianza sappiamo ormai quasi tutto. Il male sociale ed economico che affligge il mondo è tra i più sezionati da studiosi e ricercatori. I lavori di economisti come Thomas Piketty, Joseph Stieglitz, Amartya Sen, in Italia Maurizio Franzini, solo per citarne alcuni, fanno parte di una letteratura ormai consolidata. Eppure la disuguaglianza è anche un tema tra i meno affrontati e combattuti dai governi.

La puntata di Memos parte da un interrogativo specifico: si può ereditare la disuguaglianza? La risposta è: sì! L’economista dell’Università della Calabria Maria De Paola ci ha raccontato che cosa rende possibile la disuguaglianza ereditaria. Sono due i meccanismi attraverso i quali la disuguaglianza si trasmette da una generazione all’altra. Il primo riguarda gli investimenti in capitale umano: in Italia, ad esempio, la probabilità di laurearsi – sostiene la professoressa De Paola – è molto maggiore per coloro che hanno almeno uno dei due genitori laureati. E con il grado diverso di istruzione si trasmettono anche le differenze nella distribuzione del reddito. Il secondo meccanismo dipende da quelle che vengono definite le “connessioni sociali”. Pur in assenza di dati specifici, esistono delle evidenze: «si è notato in Italia, ma anche in altri paesi – ricorda l’economista De Paola – che a parità di istruzione, ad esempio due persone entrambe laureate, le condizioni socio-economiche di partenza continuano a contare, cioè che il loro reddito è ancora influenzato dalla famiglia di provenienza. Sembrerebbe che il canale di trasmissione di queste diseguaglianze di reddito non passi solo attraverso l’istruzione, ma anche attraverso altri canali, come le relazioni sociali, il background delle relazioni sociali delle famiglie di provenienza».

In entrambi i casi, dunque, l’ereditarietà della disuguaglianza, sia che dipenda dal fattore “capitale umano” o dal fattore “connessioni sociali”, rappresenta un fallimento dello stato. Almeno, di tutti quegli stati che hanno affidato ai sistemi di welfare il compito di superare le disuguaglianze nelle opportunità oppure – come prevede la Costituzione italiana – che affidano allo stato il compito attivo di rimuovere gli ostacoli all’uguaglianza (articolo 3 della Costituzione).

Ma a fronte di tali disuguaglianze cosa fanno i governi? A Memos abbiamo avuto ospite lo statistico Franco Mostacci, giornalista, blogger (francomostacci.it), che ci ha parlato del caso italiano. Mostacci ha raccontato quanto diseguale sia stata la distribuzione dei costi della crisi in Italia, pesando maggiormente sui più deboli. Ed anche quanto il governo – con il tentativo di combattere la disuguaglianza con provvedimenti redistributivi (ad esempio, il bonus fiscale da 80 euro) – abbia finito per favorire le famiglie più ricche rispetto a quelle povere.

«Partiamo proprio da come viene strutturato questo bonus – spiega Mostacci -. Innanzitutto è concesso solamente ai lavoratori dipendenti e, poiché in Italia abbiamo un sistema di tassazione individuale, il bonus non prende in considerazione quello che é il reddito familiare. Allora possiamo avere situazioni in cui esistono delle disparità. Ad esempio: prendiamo una famiglia monoreddito, con figli a carico. Se il percettore dell’unico reddito supera il limite dei 26 mila euro annui – oltre il quale non si riceve il bonus – allora questa famiglia non otterrà alcun vantaggio fiscale. Invece, in altre famiglie dove ci sono più redditi, ciascuno inferiore ai 26 mila euro, si possono percepire anche due o più bonus. Tale impostazione porta dunque a risultati iniqui, anche per il fatto che gli incapienti (che non percepiscono redditi) non hanno diritto al bonus, così come coloro che non sono lavoratori dipendenti. Abbiamo inoltre analizzato, sempre sulla base delle indagini della Banca d’Italia, come il bonus fiscale da 80 euro viene distribuito tra le famiglie. La Banca d’Italia – prosegue lo statistico Mostacci – ci dice che a ricevere il bonus è stato il 21,9% dei nuclei familiari. Se scomponiamo questo dato per decili (cioè per gruppi di famiglie ciascuno pari al 10% del totale), scopriamo che tra le famiglie che appartengono al primo decile, le più povere, solo il 3,1% ha goduto del bonus. Invece, nei decili maggiori (cioè di gruppi di famiglie più ricche) ci sono anche percentuali di percettori del bonus fiscale che superano il 30%. Ad esempio, nell’ottavo e nel nono decile abbiamo percentuali di famiglie che percepiscono il bonus che sono superiori al 30%. Tutto ciò ci fa capire come la distribuzione di questo beneficio concesso dal governo sia stata iniqua e soprattutto come abbia in qualche modo aumentato anche la disuguaglianza».

Per saperne di più ascolta tutta la puntata di Memos

  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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