
“Go Birds, fuck ICE and free Palestine!”: la chiusa del discorso di Hannah Einbinder, vincitrice del premio come miglior attrice non protagonista in una serie comedy per Hacks, è già uno dei momenti simbolo della cerimonia degli Emmy 2025, gli “Oscar della tv” consegnati questa notte a Los Angeles.
I Birds sono i Philadelphia Eagles, la squadra di football di cui Einbinder è grande tifosa, e che quest’anno ha vinto il Super Bowl contro i superfavoriti Kansas City Chiefs; l’ICE è l’agenzia federale anti immigrazione che in questi mesi è il braccio armato dell’amministrazione Trump nella caccia all’immigrato irregolare (che spesso nemmeno lo è, irregolare), con operazioni da polizia di regime platealmente indirizzate verso cittadini non bianchi; e “Palestina libera” è una dichiarazione doppiamente significativa se si considera che Einbinder è un’ebrea praticante, che nella conferenza stampa post premiazione ci ha tenuto a specificare che “proprio come persona di religione ebraica è per me fondamentale prendere le distanze dallo stato di Israele”.
Il suo non è stato l’unico sostegno alla causa palestinese della serata: la sua collega di set Megan Stalter (quest’anno protagonista, oltre che di Hacks, anche di Too Much) ha sfoggiato la scritta “CEASE FIRE”, “cessate il fuoco”, sul red carpet, mentre il divo spagnolo Javier Bardem, candidato per Monster, ha indossato una kefiah e ha dichiarato pubblicamente che non lavorerà per compagnie di produzione che sostengono Israele.
Di contro, l’organizzazione della serata di premiazione – quest’anno in capo alla tradizionalissima CBS, ma in Italia è andata in onda su Sky e NOW, dove potete recuperare le repliche – è sembrata impegnarsi per minimizzare le incursioni politiche, con il conduttore Nate Bargatze (un comedian noto proprio per il suo essere blando e accomodante) che ha dichiarato che “la tv è apolitica” (ci permettiamo di dissentire), e ha piazzato per tutta la serata un timer sui discorsi dei premiati spiegando che per ogni secondo sforato dai 45 concessi migliaia di dollari sarebbero stati tolti a un fondo di beneficenza per ragazzini e ragazzine. Una scelta davvero infelice (e chiaramente adottata per ridurre la probabilità di appelli scomodi) che oltre a produrre discorsi di ringraziamento accelerati e confusi, e a inibire la spontaneità delle manifestazioni di gioia ed entusiasmo, è parsa anche davvero inappropriata in una celebrazione tra ricche star e corporation miliardarie.
La politica ha fatto, inevitabilmente, capolino comunque, fin dalla prima apparizione del primo nome chiamato a consegnare un premio: Stephen Colbert, conduttore del Late Show che fu di David Letterman. È stata annunciata la sua cancellazione, a fine stagione, ufficialmente per “motivi strutturali”, in realtà perché Colbert, aperto oppositore del presidente Usa, ha denunciato in trasmissione che la Paramount (proprietaria della CBS su cui lo show va in onda) ha patteggiato una causa senza fondamento intentata dall’amministrazione Trump, in pratica pagando una sorta di mazzetta per far sì che non venga bloccata la fusione con la compagnia Skydance. Colbert ha ricevuto una lunghissima standing ovation e più avanti ha portato a casa l’Emmy come miglior talk series. Trionfatrice assoluta della serata è stata la comedy The Studio, una satira del sistema di Hollywood interpretata da Seth Rogen, che ha battuto il record di premi per una commedia al primo anno di produzione.
Tra le miniserie ha prevedibilmente preso quasi tutto Adolescence, mentre tra le serie drammatiche ha in parte sorpreso la vittoria di The Pitt contro Scissione (più che altro perché quest’ultima aveva un numero record di nomination): è stata, certo, la rivincita di Noah Wyle, che ai tempi di ER era stato sempre candidato ma non aveva mai vinto, e che ieri si è portato a casa un Emmy a lungo atteso. Ma, anche, di nuovo, una scelta politica: premiare un medical drama realistico, che denuncia lo stato drammatico della sanità Usa, e che sostiene l’importanza cruciale dei medici e della scienza, mentre l’attuale ministro della salute è un antivaccinista come Robert Kennedy Jr., è una presa di posizione chiara.