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Elezioni in Ungheria, la sfida tra Orbán e l’opposizione unita

Elezioni in Ungheria

Lui è Daniel Csomor, un giovane attivista del partito di opposizione Momentum. Lo incontro in un bar nel centro di Budapest. La campagna elettorale è ormai agli sgoccioli, oggi e domani sono gli ultimi giorni a disposizione per decidere chi e come votare domenica.

Queste elezioni sono molto importanti, forse le più importanti degli ultimi 10 anni, e in quanto tale, sono molto divisive.

La campagna elettorale è martellante. Sulla strada che dall’aeroporto porta al centro di budapest, i cartelli con gli slogan elettorali sono a ogni chilometro e una volta in città, non c’è una via senza slogan o manifesti. Sono appesi alle porte delle case, sulle pensiline del pullman e del tram, sui pali della luce. Ci sono i cartelli arancioni di Fidesz, il partito del premier Viktor Orbán che cerca il suo quarto mandato consecutivo. Quelli che sostengono i suoi candidati sono ovunque, e gli slogan molto aggressivi. Il manifesto che va per la maggiore mostra il volto del candidato dell’opposizione, Peter Marki- Zay, e la scritta – a caratteri cubitali: “pericolosi! Vota Fidesz”. Si riferisce alla grande coalizione di opposizione di cui parlava anche Daniel. Sei partiti che vanno da sinistra all’estrema destra, e si raccolgono sotto l’ombrello del partito “Uniti per l’Ungheria”. Quella di domenica, più che un’elezione, sarà un referendum: Orbán sì o Orbán no?

La polarizzazione che questa scelta crea è evidente. Sui manifesti elettorali, scritta a penna o con i pennarelli, la popolazione porta avanti una campagna nella campagna. E in questa, è subito chiaro come la guerra in Ucraina entri prepotentemente. La Z disegnata sulla fronte dei candidati di Fidesz, ormai diventata simbolo dell’operazione militare speciale russa – come viene chiamata a Mosca, o la scritta “Putin va all’inferno”, aggiunta sotto il nome di Viktor Orbán.

È impossibile dire ora quanto quello che succede in Ucraina – e lo strettissimo legame del premier ungherese con il presidente russo – possano influenzare il voto domenica, ma è chiaro che l’argomento non lascia indifferenti. Alcuni manifesti dell’opposizione accanto al volto di Orbán mostrano quello di Putin, e lo slogan dice: “Putin o l’Europa?”

Un ingeniere meccanico incontrato in un pub ieri sera, mi ha detto che secondo lui non c’è speranza, che nemmeno l’ipocrisia di Orbán nel tenere un piede in Europa e l’altro in Russia, potrà far cambiare idea alla forte base elettorale di Fidesz. “Soprattutto nell’Ungheria rurale – dice – a loro hanno fatto il lavaggio del cervello”. Si riferisce alla propaganda governativa, che è ancora più forte fuori dalla capitale, dove avere accesso a un’ informazione indipendente è difficilissimo. “Comunque se Orbán vince di nuovo e ci fa allontanare ancora di più dall’unione europea, io il giorno dopo lascio l’Ungheria, e so che non sarà l’unico”, aggiunge un altro ragazzo. Secondo lui molti, tra i giovani che vivono a Budapest hanno già un piano B pronto in caso di un’altra vittoria di Orbán.

Tra le vie della città, però, c’è anche un altro cartello. Forse è il più diffuso. Non ha i colori dei partiti, né i volti dei candidati. Mostra solo un bambino che abbraccia sua madre, e la scritta: “Proteggiamo i nostri figli”. Fa parte della campagna elettorale per il referendum che ci sarà domenica, insieme al voto per rinnovare il parlamento, sulla legge anti LGBT voluta da Orbán.

 

Daniel Csomor è anche uno dei fondatori del gruppo LGBT del partito Momentum. Mi racconta che il testo del referendum, è scritto appositamente in modo fuorviante: “Sostieni la promozione di trattamenti di riassegnazione di genere per i minori?” è la prima domanda. E le altre tre seguono questa linea. Per questo l’opposizione chiede ai votanti di invalidare la scheda, ponendo la x sia sul si che sul no. “Un risposta non valida a una domanda non valida”, dicono.

La società ungherese, mi spiega Daniel, non sarebbe omofoba, ma è infarcita di una propaganda che insinua la sensazione di pericolo, di attentato ai valori in cui credono. E questo, come dicevamo è ancora più forte nelle zone rurali, dove la vita per le persone LGBT è già molto più difficile e rischia di esserlo ancora di più se Orbán dovesse vincere di nuovo.

Ungheria

 

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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    “Quelle che arrivano dalla maggioranza sono delle sciocchezze, che sarebbero grottesche se non fossero pericolose perché tradiscono una chiara volontà di creare un clima di paura e di allarme, criminalizzando tutta la galassia dell’opposizione”. Così Benedetta Tobagi, intervistata da Luigi Ambrosio all'Orizzonte delle Venti, sui reiterati attacchi del Governo alle opposizioni accusate di fomentare la violenza. “Anche per ciò che porto nel mio nome, l’Italia ha nella sua storia una sinistra antifascista e democratica che non è mai stata violenta. Figure come mio padre e Aldo Moro sono state colpite addirittura dal terrorismo di sinistra. Questa è la storia che vergognosamente Meloni, Tajani e Salvini non riconoscono e che, invece, deve essere la nostra forza”.

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    In diretta dall'Ucraina Sabato Angieri ci racconta delle profonde differenze che ormai segnano il paese tra territori in guerra e retrovie, di chi non vuole andarsene nonostante la guerra abbia distrutto spazi e vite e di come il fronte insista da due anni sugli stessi campi. Gianpaolo Scarante, docente all'Università di Padova ed ex-diplomatico analizza lo scontro verbale tra Russia e Nato e invoca il ritorno della ragione per evitare una escalation dei fatti. Emanuele Valenti ci aggiorna sull'entrata dei carri armati a Gaza City dopo giorni di bombardamenti mirati a distruggere tutti i palazzi principali della città per forzare la popolazione ad andarsene. Ma la popolazione non ha nessun posto dove andare. E anche chi avrebbe un visto di studio in Italia non riesce a uscire dall'inferno della Striscia lo raccontano le voci di alcuni degli studenti palestinesi che hanno vinto una borsa di studio nelle università italiane. Molti di loro hanno diffuso appelli sui social per chiedere di fare pressione sulle autorità italiane affinché organizzino la loro evacuazione immediata. Sentiamo le loro voci e ci spiega come stanno, chi sono e perché non si riesce ad aprire un corridoio umanitario per loro Stefano Simonetta, Prorettore ai Servizi agli Studenti e al Diritto allo Studio della Università Statale di Milano.

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