In Ecuador, alla vigilia dell’incerto ballottaggio presidenziale dello scorso fine settimana, dirigenti e militanti del partito-movimento Alianza País temevano che il contemporaneo caos istituzionale nel vicino e politicamente cugino Venezuela, potesse ripercuotersi negativamente fino a favorire l’affermazione della destra neoliberista dell’ex banchiere Guillermo Lasso.
E invece Lenín Moreno, 64 anni, tre figlie, laureato in amministrazione pubblica, ex vice del presidente uscente Rafael Correa fra il 2007 e il 2013, si è imposto con un certo agio.
E molto di questo successo lo si deve proprio a lui, che già al primo turno del febbraio scorso aveva sfiorato quel 40% dei consensi che gli sarebbero bastati per diventare subito capo di stato. E che è riuscito a resistere all’ondata del conservatore Lasso, che per il testa a testa aveva riunito intorno a sé tutte le lobby della destra ecuadoriana, a partire dalle più reazionarie.
Perché forse solo Lenín Moreno (fu il padre a imporgli il nome del leader della rivoluzione russa), socialista moderato, affabile, rigoroso (soprattutto nei confronti del malaffare politico-economico) e per nulla ambizioso, poteva ereditare la carica di Rafael Correa; che per cambiare le sorti di questo ingovernabile e corrotto paese non poteva che avere avuto uno stile determinato e persino irruente.
Dal 1998, vittima di una rapina a mano armata, Moreno è su una sedia a rotelle. E sulla disabilità ha incentrato molto del suo impegno politico e sociale. Tanto che l’ex segretario generale della Nazioni Unite, Ban Ky-moon, nel 2013 lo nominò proprio delegato nella Commissione Onu di Ginevra sui diversamente abili.
Correa ha saputo fare marcia indietro e rinunciare a ricandidarsi dopo 10 anni di seguito al governo. Ma poteva farlo perché sapeva di avere un successore all’altezza. Moreno è preparato, oltre che con un carattere conciliante quanto fermo. La persona giusta per dare un futuro alla Revolución Ciudadana dell’Ecuador (paese che forma parte dell’Alianza Bolivariana); e per navigare nelle agitate acque dell’America Latina, dove nell’ultimo paio d’anni lo scontro fra la sinistra (nelle sue varie accezioni) e un neoliberismo a caccia di rivincita, si è fatto arrembante.