
A metà del 2024, nella città metropolitana di Milano, lavoravano 713mila donne. Con un tasso di occupazione femminile al 67%, ben 15 punti sopra la media nazionale, Milano sembra un modello da seguire. Ma è davvero così?
Le donne sono più occupate, sì, ma anche più povere. Una lavoratrice milanese guadagna in media ogni giorno 112 euro, mentre un uomo, nelle stesse condizioni, arriva a 148 euro. Tradotto: ogni giorno le donne guadagnano il 23,8% in meno dei colleghi. Un divario retributivo che supera di oltre 3 punti la media nazionale. Eppure, non è una questione di competenze. Lo dicono le stime elaborate dalla Camera del Lavoro Metropolitana di Milano su dati INPS, ISTAT e Sviluppo Lavoro Italia SpA: nel 2024 il 42,8% delle lavoratrici ha una laurea o un titolo post laurea, rispetto al 30,6% degli uomini.
E anche sul fronte disoccupazione, le laureate pagano il prezzo più alto: il 22% è senza lavoro, contro il 5,5% dei colleghi uomini. E anche se a metà del 2024 le disoccupate erano il 19% in meno rispetto all’anno precedente, si tratta di donne che avevano già un impiego e l’hanno perso. Quelle occupate restano relegate a posizioni impiegatizie, incastrate nel part time – spesso involontario: delle 191 mila con un rapporto di lavoro a tempo parziale, ben due terzi lavorerebbero a tempo pieno, se solo ci fossero le condizioni per farlo. Ma quello rimane un privilegio maschile.
Risultato? A Milano le donne lavorano di più, ma restano forza lavoro di serie B. La CGIL milanese lo dice senza giri di parole: non è una questione di scelte personali. È una questione di sistema. E se perdono le donne, perde anche Milano.
di Chiara Manetti