Approfondimenti

Di cosa ha paura Salvini, e perché

Fort de Bregancon, residenza estiva del Presidente della Repubblica Francese.

Lunedi 19 agosto 2019, mentre in Italia si consuma la crisi del governo Lega – 5 Stelle, Emmanuel Macron incontra il Presidente russo Vladimir Putin.

Mosca coltiva la relazione con la Francia, nel solco della tradizione e della storia dei rapporti tra i due Paesi. All’Eliseo siede il campione del liberalismo europeo, l’uomo forse più odiato dalle destre radicali del continente. Putin va a fare politica con lui. E Macron gli chiede di mollare Marine Le Pen e gli altri sovranisti, Matteo Salvini compreso. Ma questa cosa, dopo l’esito delle elezioni europee, Putin l’aveva già capita da solo.

E’ un segnale che alcuni osservatori hanno colto: il Cremlino prende atto della sconfitta delle destre anti Ue e adegua la propria linea di condotta nei confronti dell’Europa.

Eh sì, perché i sovranisti hanno perso. Solo in Italia la propaganda salviniana aveva cercato di nascondere questo dato fondamentale. I sovranisti europei sono stati sconfitti, l’Unione Europea è guidata da una maggioranza politica composta da popolari e socialisti, i Verdi e i liberali sono le terze forze. E il Movimento 5 Stelle ha votato a favore dell’elezione alla presidenza della Commissione Europea di Ursula Von Der Leyen,  conservatrice tedesca vicina alla cancelliera Angela Merkel.

I sovranisti hanno perso, se rimangono al potere in un Paese chiave come l’Italia è un problema, se vanno via è meglio per tutti, e la politica è una cosa spietata. Nelle ore in cui Salvini è schiacciato in un angolo, la Spagna cambia politica nei confronti delle navi Ong che operano nel Mediterraneo e offre un porto alla Open Arms. Da Roma, messaggio ricevuto: ‘liberatevi di Salvini e le cose in materia di politiche migratorie possono cambiare’.

Durante il suo intervento al Senato del 13 agosto, quello in cui ha tentato inutilmente di offrire al Movimento 5 Stelle lo scambio tra il voto sulla riduzione dei parlamentari e le elezioni subito, Salvini era nervoso, rabbioso, aggressivo. Sembrava avesse paura.

Aveva già compreso che il progetto di far saltare il governo e la legislatura, andare a votare, vincere e tornare al potere da imperatore trionfante, era fallito.

Salvini aveva appena finito di parlare in aula che Roberto Calderoli, il decano dei senatori leghisti, l’esperto di procedure, nel Transatlantico del Senato spiegava ai giornalisti come non fosse possibile sciogliere la legislatura immediatamente dopo il voto definitivo sulla riforma costituzionale che taglia il numero di parlamentari. Ci sarebbero stati da fare il referendum e poi il ridisegno dei collegi, ci sarebbe voluto almeno un anno, diceva Calderoli.

La mossa di Salvini era disperata, un bluff a cui il Movimento 5 Stelle non ha abboccato.  L’obiettivo non era tornare davvero a votare ma tenere Di Maio e soci legati a sé tenendo al contempo se stesso legato al potere e alla poltrona di ministro dell’Interno.

C’è una parola che viene usata per spiegare la fuga in avanti di Salvini: hybris. L’orgoglio, la tracotanza, la sopravvalutazione di sé che nella tragedia greca fanno perdere la testa al personaggio fino a quel momento trionfante. E lui era trionfante: nelle urne, nei sondaggi, sugli alleati politici, sui social network. Credeva forse che avrebbe potuto piegare Di Maio a qualsiasi volontà, e il Quirinale pure.

La stessa hybris che annebbiò Renzi al massimo del successo. Per entrambi tutto nacque da una straordinaria affermazione alle elezioni europee. La differenza sta nel fatto che la vittoria di Salvini nascondeva una sconfitta, perché certi giochi si fanno a livello continentale. La nascondeva agli italiani ma non certo al leader della Lega a cui difficilmente la situazione poteva non essere chiara da subito.

Il significato della fuga delle intercettazioni dall’hotel Metropol di Mosca, luogo controllatissimo dai servizi di intelligence russi, come poteva non essere compreso?

E la visita di Putin a Papa Francesco, al culmine delle denunce martellanti del Vaticano sulle politiche migratorie?

E la nascita a Bruxelles della cosiddetta ‘maggioranza Ursula’ con il voto pentastellato a favore della Presidente della Commissione Europea assieme a socialisti e popolari, che tradotto in italiano significa Pd e Forza Italia come poteva non essere interpretato come un altro evidente segnale?

Un fatto politico,quest’ultimo, prefigurante l’ipotesi che in caso di necessità potesse nascere una maggioranza alternativa anche in Italia, con poche variabili (da notare che nel momento clou Berlusconi avrebbe frustrato i disegni egemonici salviniani). Mentre i segnali moscoviti e vaticani, a cui si aggiungano le preoccupazioni delle istituzioni finanziarie italiane e internazionali per la manovra economica che i leghisti avrebbero voluto fare in deficit e, non ultime, le prese di posizione pubbliche dei vertici militari per gli attacchi alla ministra della Difesa e per le politiche migratorie –mai in Italia si erano sentiti militari criticare apertamente il governo, sarebbe stato inaudito in qualsiasi altra circostanza- lasciavano intendere che per Salvini il clima fosse -come negarlo- ottimo nelle spiagge ma sfavorevole, parecchio sfavorevole, nei luoghi che contano del potere e delle Istituzioni.

E allora lo strappo, letto così, non è stato solo hybris. Non è stato solo un calcolo di potere. Non è stata solo la pressione della Lega del Nord che fremeva per le resistenze grilline all’autonomia delle regioni. E’ stata una via obbligata. E’ stata paura. Il tentativo disperato di prendersi tutto, di accaparrarsi i famosi ‘pieni poteri’ per cercare di resistere. Diventare troppo grosso per essere toccato, ora che il vento era cambiato.

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    Il 7 dicembre la Scala apre la stagione con l’opera censurata da Stalin

    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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