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“Decreto sicurezza, un colpo di mano”. Intervista alla costituzionalista Anna Mastromarino

Sicurezza, il decreto ci allontana da democrazia e stato di diritto

Segni di autoritarismo. Li denunciano oltre 250 costituzionalisti. Le studiose e gli studiosi della Costituzione hanno deciso di scrivere e firmare un appello. Vogliono denunciare i pericoli che corre la democrazia. La causa è il decreto cosiddetto “sulla sicurezza”. Secondo la costituzionalista Anna Mastromarino, ospite di Pubblica, quel decreto “fa un uso del controllo e della paura come strumento di governo” (Meloni). L’intervista di Raffaele Liguori a Anna Mastromarino.

Professoressa Mastromarino, nel vostro appello voi parlate di un “colpo di mano” compiuto dal governo che ha sostituito il disegno di legge che giaceva in parlamento con un decreto-legge. Che cosa vi preoccupa di più?

Perché colpo di mano? Perché ci sono delle ragioni profonde che rendono questo atto diverso da tutti gli altri. Ho sentito dire spesso “Ma no, in realtà di abuso dei decreti legge se ne parla da molti anni”, ma questo è un abuso diverso. Qui, intanto, non si ha neppure l’ombra delle ragioni costituzionali per cui si può intervenire. Ricordo che si interviene per motivi straordinari di necessità e urgenza e qui manca completamente assolutamente la straordinarietà, non parliamoci della necessità e dell’urgenza. L’iter legislativo non solo era già incardinato in Parlamento, ma stava ormai arrivando alla conclusione ed è proprio questo che ci fa parlare di mortificazione del Parlamento, di mortificazione del ruolo dei parlamentari e rappresentanti del popolo. Era proprio una presunzione estrema e, io mi permetto di dire, un abuso di potere. Quando un organo, al di là di ogni tipo di possibilità all’interno della Costituzione, fa quello che gli pare – in questo caso il governo – abusa del proprio potere e la nostra Costituzione tollera tante cose, in alcuni aspetti abbiamo deciso che ne deve tollerare troppe, ma sicuramente quello che non può tollerare è un abuso di potere, nel senso di un organo che vuole non rispettare i limiti di potere che la Costituzione gli ha imposto.

Il Presidente della Repubblica Mattarella in tutto questo iter è intervenuto, almeno nella fase che ha preceduto la firma finale da parte del Quirinale. Mattarella ha chiesto e ha ottenuto alcune modifiche a quel testo, ma alla fine lo ha comunque firmato. Mattarella non aveva altra scelta o poteva rifiutare la sua firma sotto quel decreto?

So che ci sono colleghi che ritengono che il Presidente della Repubblica potrebbe non emanare il decreto legge e quindi non porre la sua firma. Io non sono tra questi. Io credo che lui dovesse firmare e apprezzo che il Presidente sia intervenuto in una negoziazione. Forse mi sarei aspettata – non è una critica – vista la situazione di gravità un uso un po’ più massiccio degli altri suoi poteri, tipo dire un po’ più chiaramente che questo decreto presentava dei limiti di merito costituzionale molto forti. Forse l’avrei accompagnato con una nota, perché non è solo una questione che entro i 60 giorni può essere convertito. Il punto fondamentale è che entra in vigore subito. Questa è la caratteristica del decreto legge, non ha neppure la vacatio legis. Forse accompagnarlo con una nota che sottolineasse tutta la straordinarietà dell’illegittimità di questo testo era necessario.

Sempre in questo appello, a proposito dei contenuti del decreto, voi parlate di disegno pericoloso di repressione delle forme di dissenso. Quanto al merito, scrivete, si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società democratica. Qui vuol dire che il governo ha messo le mani nei punti più sbagliati dal punto di vista di rispetto delle regole costituzionali, professoressa Mastromarino?

Sì, siamo davanti a un testo che fa un uso del controllo e della paura come strumento di governo. Ci ho pensato prima di dire questa cosa, perché potrebbe essere troppo allarmista, ma credo che sia proprio così: un uso del controllo e della paura come strumento di governo. Lo chiamano decreto sicurezza perché la parola sicurezza dovrebbe far sentire tutti noi protetti. In realtà un termine fortemente demagogico e populista: s stai buono, se non protesti, se segui le regole, vedrai che vivrai tranquillo, sicuro e senza nessuno che ti mette in difficoltà. Che è come dire, “di che cosa ti preoccupi? Perché dovresti protestare rispetto a un decreto che colpisce solo coloro che sono sediziosi, che danno fastidio?”. Il punto è che nessuno è sicuro di non essere qualcuno che darà fastidio. Faccio solo un esempio che forse aiuterà tutti a capire meglio cosa intendo dire: abbiamo tollerato e tolleriamo tutti come genitori gli atti di occupazione di un giorno o due di certi licei. I giorni in cui gli studenti occupano per manifestare le loro idee sono giorni in cui i genitori, pur cercando di spiegare, tollerano. Questo atto, in questo momento, potrebbe portare – essendo fattispecie di occupazione di locale pubblico – fino a 7 anni di reclusione per i nostri studenti. Se noi consideriamo che un ragazzo di 18 anni che occupa un giorno la scuola o che partecipa a un atto di occupazione senza esserne l’organizzatore, ma che come sappiamo può benissimo capitare, può essere accusato fino a 7 anni e potrebbe essere quindi condannato, questo significa, a mio parere, che da oggi tutti i genitori, anziché tentare una via pedagogica di quello che è sempre stato il dissenso giovanile, invece diranno “No, tu non lo fai” e questo abituerà lo studente che in questo paese non si protesta, che è meglio non avere una voce dissidente. Se a noi tutto questo pare un atteggiamento consono alla nostra Costituzione, che invece crede nel pensiero critico, nella voce contraria, nelle forme del dissenso, allora credo che il problema non sia nel decreto, ma sia in quello che noi crediamo della nostra Costituzione.

  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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    La mostra alla Fabbrica del Vapore di Milano, attraverso le opere di grafica di tre dei suoi massimi protagonisti: Pablo Picasso soprattutto, Joan Miró e Salvador Dalí, propone un percorso espositivo diviso i cinque sezioni. Il filo conduttore che unisce i loro percorsi artistici è il Surrealismo, inteso come corrente ma anche come mezzo privilegiato di espressione dell’inconscio e dell’identità individuale. In mostra il visitatore non troverà le opere pittoriche più significative, ma viaggierà sempre in prima classe con le grafiche e i disegni. Ascolta il servizio di Tiziana Ricci.

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