La maggioranza di governo sembra animata da una insaziabile fame di posizioni di vertice nella cultura. Un tentativo di occupare spazi, come sempre accade quando una longeva opposizione sale al potere per la prima volta, ma anche la volontà di “recintare” e regolarizzare un mondo imprevedibile, dove il dubbio è una risorsa, la contaminazione genera creatività e le opinioni alternative sono fonte di riflessione e di autocritica. Insomma, la cultura fa paura, potremmo sintetizzare. E l’arrembaggio, spesso un po’ sgraziato, anzi, maleducato è appena cominciato.
A chi toccherà la prossima volta? La campagna di spregiudicate nomine culturali avviata dalla destra di governo appare ormai una realtà anche ai più mansueti osservatori. In linea d’aria, la più probabile è la sovrintendenza del Teatro alla Scala, dove l’uscente Dominique Meyer ha poche probabilità di riconferma, ufficialmente per la nuova norma varata dal governo Meloni sui limiti di età dei dirigenti di enti lirici. Nel 2025 Meyer avrà 70 anni, per la cronaca 8 meno dell’attuale Presidente del Senato. Ma si sa, sono ruoli diversi.
Anche la direzione artistica del Piccolo Teatro, ora affidata a Claudio Longhi, che ha recentemente portato in scena con successo “Ho paura torero” dal libro di Pedro Lemebel sul Cile del 1986, tema non proprio caro alle destre, con Lino Guanciale (peraltro tra i firmatari della lettera di protesta sulla nomina corsara di Luca De Fusco alla guida del Teatro di Roma) potrebbe essere messa a rischio, alla luce del nuovo CdA del Piccolo, quasi tutto spostato a destra, a cominciare dal neo-consigliere Geronimo La Russa. Roberto Andò, celebre regista teatrale e cinematografico, non proprio vicino alla destra, vedrà scadere il suo incarico fra un anno. De Fusco lo aveva preceduto, stavolta dovranno trovare un altro nome più gradito alla maggioranza. E chi andrà a Catania, al Teatro Stabile di Catania, al posto del già detto De Fusco? Senza contare i grandi e numerosi festival nazionali, su cui c’è già stata qualche significativa attribuzione di incarichi. Ma è meglio fermarsi qui ed evitare di dare troppi suggerimenti. Chissà che qualche poltrona sfugga alla decisa ascesa culturale della destra, che prosegue, nel nome di Dante.
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Liv Ferracchiati al Piccolo Teatro con due spettacoli
A Cult Ira Rubini ha avuto come ospite il drammaturgo Liv Ferracchiati che, da questo giovedì, sarà al Piccolo Teatro con due spettacoli: "La morte a Venezia" e, successivamente, "Stabat Mater".
"La morte a Venezia. Libera interpretazione di un dialogo tra sguardi" (15-25 maggio)
Una macchina fotografica su un treppiede al limitare delle onde e uno scrittore che muore su una spiaggia per aver mangiato delle fragole contaminate dal colera, simbolo dell’inesplorato che giace in ognuno di noi.
Non si tratta di un adattamento teatrale de La morte a Venezia, ma di un percorso scenico – liberamente ispirato al romanzo di Thomas Mann – che combina tre diversi linguaggi: parola, danza e video. Distaccandosi dal tema dell’omoerotismo e della differenza d’età, rimane l’incontro a Venezia tra Gustav von Aschenbach e Tadzio. Rimane la morte.
Dopo aver attraversato, con HEDDA. GABLER. e COME TREMANO LE COSE RIFLESSE NELL’ACQUA, le parole di Ibsen e Čechov, Liv Ferracchiati sceglie ora di raccontare la difficoltà di scrivere e come questa fatica, alla fine, sia squarciata da momenti rari, bellissimi e terribili, costellati da incontri con altri esseri umani.
"Stabat Mater" (27 maggio-1 giugno)
«Un raro esempio di riuscita commedia italiana dal sapore anglosassone. All’interno di una struttura drammaturgica complessa e gestita con mano ferma, spiccano dialoghi credibili e incalzanti, ricchi di una destrezza ironica che ricorda il primo Woody Allen»: con questa motivazione, nel 2017 la giuria del Premio Hystrio Scritture di Scena scelse come vincitore Liv Ferracchiati e il suo Stabat Mater, storia di uno scrittore trentenne che cerca di diventare adulto e di trovare una propria collocazione nel mondo, emancipandosi dalla figura materna e tendando di abbattere i più tossici stereotipi maschili.
Con un nuovo cast e un allestimento completamente rinnovato, lo spettacolo torna ora in scena in una forma diversa, nella volontà di far rivivere un progetto che, in anni non sospetti, aveva trattato tematiche politicamente e socialmente centrali quali l’autodeterminazione e la libertà d’espressione identitaria.
Cult è condotto da Ira Rubini e realizzato dalla redazione culturale di Radio Popolare.
Cult è cinema, arti visive, musica, teatro, letteratura, filosofia, sociologia, comunicazione, danza, fumetti e graphic-novels… e molto altro!
Cult è in onda dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 11.30.
La sigla di Cult è “Two Dots” di Lusine.
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Papa Leone XIV e l’ateismo. Nella sua prima omelia (9 maggio, Cappella Sistina), papa Prevòst ha usato la chiave dell’ateismo, della mancanza di fede, per spiegare le insiede al cattolicesimo contemporaneo. Nell’omelia Leone XIV spiega che è la mancanza di fede a causare drammi come la perdita del senso della vita, la crisi della famiglia e altro. Per il papa le persone – “non solo non credenti, ma anche tra molti battezzati” - che costruiscono un rapporto con Gesù come se fosse un «leader carismatico o un superuomo...finiscono col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto». Questi passaggi dell’omelia del pontefice Robert Francis Prevòst sono stati criticati dal teologo e filosofo cattolico Vito Mancuso, in un articolo sulla Stampa (10.5.25) e ospite oggi a Pubblica. «Il primo passaggio dell’omelia – ricorda Mancuso - pone questa equazione: “no all’ortodossia cattolica uguale ateismo di fatto”. E la seconda, un'altra equazione, è: “ateismo uguale immoralità”. Ecco, su queste due equazioni contenute in quella omelia – conclude il teologo – ho espresso il mio disagio, la mia contrarietà».
Rassegna stampa internazionale di mercoledì 14/05/2025
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Esteri – La rassegna stampa internazionale - 14-05-2025
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