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“Cosa sarà” in streaming su #IoRestoInSala: intervista a Francesco Bruni

Cosa Sara

Il regista Francesco Bruni rivela a Radio Popolare com’è stato produrre Cosa sarà, il suo nuovo film disponibile in streaming sulle piattaforme #IoRestoInSala e MioCinema.

L’intervista di Barbara Sorrentini a Chassis.

Il titolo del film, “Cosa sarà”, doveva essere un altro, vero?

Sì, era stato battezzato “Andrà tutto bene” a maggio del 2019. Doveva uscire con quel titolo a marzo del 2020 ed è stato bloccato dalla prima ondata di COVID. Durante l’attesa di questa nuova uscita abbiamo deciso di cambiargli il titolo ed è stato trovato questo che mi piace molto, mi sembra anche giusto per l’epoca che stiamo vivendo. Adesso è stato ri-bloccato dalla chiusura delle sale, un giorno dopo che era uscito ed è in streaming un po’ dappertutto. Il cambio di titolo era anche per smarcarlo dalla tematica Covid, oltre che non far pensare che stessimo sfruttando una frase di grande popolarità.

Nel tuo film c’è un grande utilizzo di mascherine, perché siamo anche spesso in ospedale.

Sì, per un motivo totalmente differente da quello di questi giorni, perché si va alla presenza di un personaggio protagonista che sta facendo una chemioterapia molto pesante, quindi è immunodepresso e tutti quelli che lo avvicinano devono usare questa precauzione nei suoi confronti.

È una storia molto seria che ti ha coinvolto personalmente e che hai raccontato in maniera molto delicata ma anche leggera. Quando hai iniziato a scriverla?

La diagnosi era nel 2017, il trapianto di staminali è stato nel 2018, seguito da un lungo periodo di ritorno alla normalità e di ripresa di forze. Verso l’inizio del 2019 ho cominciato a pensare a questa storia, ma solo nel momento in cui ho capito che dovevo allontanarmene, che dovevo inventarmi un racconto di fiction, se no sarebbe stato un bollettino medico. Il set poi è anche molto faticoso, quindi prima di fine 2019 non sarei stato in grado di tornare a girare.

Kim Rossi Stuart ha partecipato alla sceneggiatura. È il protagonista, un po’ il tuo alter ego. Come avete lavorato insieme?

Mi rappresenta, con notevole differenze sia nella biografia del personaggio sia nel suo modo di essere, ma certamente lui ha cercato di ispirarsi a me, anche nell’aspetto, nell’abbigliamento, nella gestualità. Durante il film è costretto a rasarsi i capelli per non perderli, come ho fatto io peraltro. Lui ha dato un’adesione immediata: quando ha letto la sceneggiatura mi ha chiamato il giorno stesso, e questo mi ha dato molta fiducia, oltre che molto appoggio produttivo, perché la sua presenza è stata importante, ha fatto decollare il film. Lui è stato anche un preziosissimo collaboratore artistico, perché abbiamo modificato la sceneggiatura insieme, e sul set ha dato una prova di sé straordinaria, trascinando tutto il cast.

Scegli una struttura che si muove tra l’ospedale, dei flashback e quella che è la conclusione. È un po’ uno stile nuovo rispetto a quello che hai fatto precedentemente.

Sì, ha una struttura ambivaga, si va avanti e indietro nel tempo, fra il pre-diagnosi, la diagnosi e poi il ricovero e la degenza ospedaliera. In più ci sono molti flashback dell’infanzia e ci sono molte visioni allucinate durante la degenza. E’ il mio film più azzardato anche dal punto di vista visivo: finora avevo fatto delle commedie in cui, certo curavo anche l’aspetto specifico-filmico, però la regia era totalmente a servizio degli attori e del copione. Qui c’è qualcosa di più.

Ci sono delle immagini meravigliose di Livorno, si vede che la ami in modo particolare. Quella parentesi si capisce che è molto importante.

A un certo punto è necessario un viaggio nella storia e ho pensato subito di farlo a Livorno perché mi sentivo a casa, era un luogo che conoscevo molto bene e sapevo che avrei potuto filmare in maniera efficace, anche un po’ per rendere omaggio a questa città, che amo moltissimo, sempre di più col passare del tempo. Ne sono andato via a 20 anni perché la sentivo stretta, non potevo fare lì quello che sognavo di fare, però adesso che divento anziano diventa un luogo di elezione, in un certo modo.

Siccome hai una scrittura comica, volevo chiederti un tuo ricordo su Gigi Proietti.

Gigi lo avevo cercato per questo film, era una persona squisita. Purtroppo veniva da due interventi di bypass e non se l’è sentita, però c’è mancato poco che lo avessimo a bordo. Ne ho un ricordo meraviglioso. E’ inutile che aggiunga parole a quelle che vengono dette molto meglio di me, da chi lo ha conosciuto meglio. Un artista straordinario.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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