
Fino a pochi giorni fa questo primo accordo tra Israele e Hamas sembrava impossibile. Poi velocemente, in meno di due settimane, le variabili hanno iniziato a convergere e salvo colpi di scena per un periodo che ancora non conosciamo a Gaza ci sarà una tregua – se vogliamo essere più ottimisti un cessate il fuoco. Sul fronte diplomatico, per quello che sappiamo oggi, il fattore più determinante è stato il coinvolgimento diretto di Donald Trump. Il presidente americano voleva a tutti i costi questo accordo, e ha messo in campo tutto quello che poteva: la pressione su Netanyahu, quella su Hamas, e anche il coinvolgimento dei paesi arabi.
La dinamica più importante è stata probabilmente la pressione su Netanyahu. In questi mesi la Casa Bianca ha cambiato la sua posizione su Gaza, dalla Gaza Riviera alla fine della guerra. Netanyahu ha dovuto in qualche modo adeguarsi. Anche perché gli Stati Uniti sono sicuramente il più importante alleato di Israele, ma, al momento, sono anche l’ultimo. Da un certo punto di vista è come se Netanyahu avesse tirato troppo la corda e Trump lo avesse dovuto richiamare diciamo così all’ordine. La svolta è stata il bombardamento israeliano su Doha, in Qatar, il mese scorso. Raid con il quale gli israeliani volevano colpire la leadership di Hamas e i suoi negoziatori. Ma il Qatar è il principale alleato di Washington nella regione, e l’alleanza va ben oltre il Medio Oriente. A Doha l’impero economico della famiglia Trump ha anche solidi punti di appoggio. Le pressioni di Trump su Netanyahu, anche se la Casa Bianca non lo ammetterà mai, sono anche il risultato del riconoscimento dello stato palestinese da parte di diversi paesi europei, gli altri storici alleati di Israele. Abbiamo detto più volte un gesto solo simbolico, ma che in qualche modo ha creato un clima nel quale è stato più naturale, anche per gli Stati Uniti, spingere per la fine della guerra. Non il fattore più pesante, ma ha sicuramente ha giocato un ruolo. Sul campo non possiamo poi certo dimenticare l’indebolimento di Hamas. Al momento nessuno ne conosce l’entità, ma dopo due anni di attacchi israeliani il gruppo palestinese è sicuramente decimato e con una capacità militare limitata. Hamas cercherà di sopravvivere politicamente e il suo disarmo sarà uno dei nodi che potrebbero far saltare le successive fasi del negoziato, ma in questo momento la sua debolezza ha costretto la leadership ad accettare l’accordo, soprattutto ad accettare il rilascio di tutti gli ostaggi, la sua arma più importante contro Israele. Il negoziato di questi giorni ha poi sicuramente visto un impegno notevole da parte dei paesi arabi e della Turchia. Che hanno accompagnato Hamas verso questa decisione. Da capire, visto la loro passata strumentalizzazione della causa palestinese, se continueranno ad avere un ruolo importante e positivo, anche nell’immediato futuro. In Israele, infine, ha sicuramente pesato la posizione dei vertici militari e di una parte dell’apparato statale, contrari alla guerra a oltranza di Netanyahu. Anche qui da capire se la loro si consoliderà come la posizione dominante quando bisognerà prendere decisioni ancora più importanti.