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Coronavirus, il virologo Pregliasco: “Quello che abbiamo in Lombardia capiterà in tutta Europa”

epidemia coronavirus

6.387 persone positive al coronavirus COVID-19 in Italia a ieri sera. 366 i morti. Questi sono gli ultimi numeri dati dalla Protezione Civile. Che cosa ci dicono a qualche settimane dall’inizio dell’epidemia in Lombardia e, più in generale, in Italia? Lo abbiamo chiesto al virologo Fabrizio Pregliasco.

L’intervista di Alessandro Braga a Fino Alle Otto.

Siamo ancora in una fase di salita. È inquietante il fatto che crescano di più il numero dei morti rispetto al numero delle persone inserite in terapia intensiva. Questo vuol dire che siamo arrivati alla saturazione delle terapie intensive, almeno nella Lombardia. Siamo ancora in una fase espansiva e quindi è necessario attuare nel miglior modo possibile quelle che sono le indicazioni, seppur criticate o mal interpretate dalla popolazione che si è fatta prendere dal panico ingiustificato. Molte persone purtroppo non si rendono conto della gravità della situazione e del fatto che solo attraverso un distanziamento sociale sistematico possiamo contrastare l’epidemia.

Gli ultimi provvedimenti presi dal governo hanno come obiettivo la limitazione del contagio da coronavirus da un punto di vista geografico. Il Messaggero parlava oggi di Roma e del Lazio come prossime aree di attenzione.

Assolutamente. Ormai quello che abbiamo in Lombardia è quello che capiterà in tutta Europa. Abbiamo avuto presumibilmente una sfortuna per una situazione contingente di soggetti che hanno fatto da diffusori iniziali in modo del tutto inconsapevole e ora, in altre realtà, si vede questa crescita come si è vista in Italia.

Quando potremmo capire di aver raggiunto il cosiddetto picco dell’epidemia di coronavirus?

Si capisce quando si abbassa. Purtroppo l’azione di riduzione necessità di ancora un po’ di giorni, perchè i casi notificati ieri o quelli che verranno notificati oggi sono nati una settimana o dieci giorni fa, sono ancora figli di una situazione in cui la diffusione non aveva degli elementi di controllo stringente. Ci vorrà ancora un bel po’, temo che fino alla fine del mese di aprile si avrà una situazione in crescita con effetti che possono essere devastanti nel momento in cui una parte di italiani pensano che sia un problema di altri. Stare a casa in questo momento è fondamentale. Con l’influenza di solito facciamo gli eroi, ma in questo caso dobbiamo fare uno sforzo supplementare. È vero, la patologia nella gran parte dei casi è benigna, ma abbiamo visto che il 10% di persone necessità della rianimazione. I posti sono tarati sull’operatività quotidiana e con questo sovraffollamento si stanno facendo in alcun reparti e alcuni ospedali delle scelte dolorose.

La terapia intensiva è il vero anello debole di questo progetto di contenimento del contagio da coronavirus messo in atto?

Questo è il punto. Credo che in Lombardia ci sono piani per spostare le persone a rischio nelle altre Regioni, ma è fondamentale che le altre Regioni ovviamente mantengano una diffusione più bassa proprio per far sì che ci sia una garanzia di assistenza adeguata e per tutti.

Oggi il premier Giuseppe Conte in un’intervista a Repubblica dice “Cara Italia, l’ora è dubbia, ma è indubbio che dobbiamo farcela e possiamo farcela”. Come possiamo farcela?

Le istituzioni devono essere sicuramente chiare e ci vuole una fiducia verso un’istituzione centrale. Purtroppo anche in questi giorni ci sono disquisizioni sulla delimitazione su alcune disposizioni su questioni secondarie come il calcio e questo è un guaio perché crea agitazione e confusione nei cittadini. Bisogna prendere atto che è una patologia che passerà, ma passerà in modi diversi: se non attuiamo degli interventi adeguati ci sarà un affollamento eccessivo di casi con le conseguenze che iniziamo ad intravedere in Lombardia. Serve un’azione di sistematica adozione di regole di buonsenso. Stiamo lontani gli uni dagli altri, manteniamo i servizi essenziali di assistenza alle persone e agli anziani.

Le nostre abitudini quotidiane sono cambiate. È così difficile affidarsi a queste regole?

Quando c’è una costrizione siamo tutti portati a dire “io no” oppure a notare la mancanza. Bisogna rimarcare che se io non lo faccio, mio figlio potrebbe non avere l’assistenza necessaria se cade in motorino perché i posti sono occupati da altri. Se c’è uno giovane, il nonno non sarà scelto per la rianimazione. Questo è lo spauracchio reale a cui far riferimento. A volte il senso civico generale non è sufficiente a farci attuare questo tipo di intervento.

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    Dovevano essere i presidi con cui ricostruire la sanità sul territorio in Lombardia, ma finora le case di comunità sono state un flop. 216 sono quelle previste entro la scadenza dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che arriverà a giugno 2026. Al momento 140 hanno aperto, ma solo otto in tutta la regione (sei in provincia di Bergamo e due nel varesotto) hanno tutti i requisiti obbligatori previsti dalla legge. In totale sono meno del 6 percento. La denuncia è del gruppo consiliare del Partito democratico lombardo che ha fatto un accesso agli atti alla direzione generale Welfare per ognuna delle case di comunità attive in Lombardia. L’assessorato ha replicato che i numeri diffusi “sono usati in modo difforme dalla realtà. Le rilevazioni mostrano percentuali elevate di attuazione per la maggior parte dei servizi obbligatori”. Per il capogruppo del Pd al Pirellone, Pierfrancesco Majorino, “Regione Lombardia è in colpevole ritardo”.

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