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Turchia: la condanna per terrorismo di quattro difensori dei diritti umani

taner kilic Turchia

Nella Turchia di Erdogan occuparsi dei diritti umani significa rischiare il carcere in prima persona. Nella puntata di Esteri del 3 luglio Chawki Senouci ha chiesto a Riccardo Noury di commentare questa pagina oscura per la giustizia turca.

Che tipo di sentenza abbiamo osservato?

E’ una sentenza scandalosa, bruttissima, perché Taner Kilic e Idil Eser, rispettivamente ex presidente e ex direttrice di Amnesty International Turchia sono tra i quattro condannati.

Taner a sei anni e tre mesi, Idil e altri due a 25 mesi per appartenenza (nel caso del nostro ex presidente) e assistenza (per gli altri tre) all’organizzazione terroristica di Fethullah Gülen. E’ un processo che per dodici udienze si è dimostrato un processo politico, con prove smentite addirittura dalla stessa procura, e accuse non circostanziate. Insomma l’obiettivo era fin dall’inizio quello di zittire i difensori dei diritti umani. E ci sono riusciti con queste condanne.

Ci puoi raccontare chi è Taner Kilic?

E’ un avvocato, un avvocato che della sua carriera professionale ha fatto un punto d’onore. Una carriera che gli ha aperto la strada a qualcosa che è una vera militanza, quella di essere presidente di Amnesty International in Turchia, in un periodo storico nel quale la criminalizzazione degli attivisti e dei difensori dei diritti umani è diventata una prassi quotidiana. Idil invece è una ricercatrice, è stata la direttrice della nostra associazione in Turchia, ha studiato movimenti sociali e altre questioni politiche di grande rilevanza nel Paese.

Come mai in questo momento la Turchia condanna quelli che difendono i diritti umani?

Io credo che ci sia sempre nell’aria questa ossessione “gulenista” per cui si cerca di collegare tutto e tutti, nella società civile e nelle professioni, al tentativo di colpo di stato del luglio 2016. Addirittura nei confronti di Taner, l’accusa più evidente era che avesse usato la stessa app dei golpisti, cosa che per altro è risultata infondata. Ma il fatto più paradossale è che nello stesso tribunale, in un’aula adiacente, mentre erano condannati degli ex dirigenti di Amnesty International, veniva organizzato il processo per l’assassinio di un altro difensore dei diritti umani, Kashoggi. Come dire: da un lato la Turchia criminalizza i difensori dei diritti umani e dall’altro vuole mostrare al mondo di essere una campionessa della democrazia portando alla sbarra chi ha ucciso Kashoggi.

Faranno appello?

Sì faranno appello, forse ci vorranno anni, ma la cosa importante è che resteranno a piede libero, a quanto pare. Però rimane un’onta sul sistema giudiziario turco, che si è dimostrato una pedina della repressione di Erdogan

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