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Coalizione forzata

Le elezioni dello scorso dicembre avevano sancito la fine del bipartitismo, che aveva caratterizzato tutta la vita politica della Spagna democratica. Il voto di ieri conferma questa tendenza, ma a differenza di dicembre i partiti sono ora obbligati a trattare e a trovare un accordo per la formazione del nuovo governo. I risultati non sono molto diversi da quelli delle elezioni precedenti, ma qualche piccolo cambiamento c’è stato, e proprio su questo nuovo margine dovrà nascere una coalizione di governo.

Seppur lontano dalla maggioranza assoluta, il Partito Popolare rimane la prima forza del paese. Il Partito Socialista ha evitato il tracollo definitivo e ha respinto le ambizioni di Podemos, rimanendo il secondo partito, anche se sempre con meno seggi. Il partito degli indignati, che i sondaggi davano in grande salita, non ha tratto alcun vantaggio dall’alleanza con Izquierda Unida, la federazione della sinistra spagnola. Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha ammesso che si aspettava un altro risultato.

Alla vigilia, la coalizione favorita per guidare la Spagna nei prossimi quattro anni era quella formata da Podemos e socialisti, ma visti i numeri l’accordo è improbabile. Le due formazioni sarebbero molto lontane dalla maggioranza parlamentare necessaria per governare. La Spagna quindi non avrà un governo di sinistra.

Le uniche soluzioni possibili girano intorno al Partito Popolare: una grande coalizione con i socialisti oppure un governo di minoranza con l’appoggio esterno di Ciudadanos (piazzatosi al quarto posto ma con meno seggi rispetto a dicembre) e di altri piccoli partiti regionali. A prescindere dalla formula che verrà scelta i prossimo governo spagnolo rischia di essere instabile e di non avere una maggioranza solida, necessaria per fare riforme importanti.

I partiti spagnoli sono quindi costretti a trattare. È impensabile che si vada a votare una terza volta. La gente non lo capirebbe. L’affluenza è già stata piuttosto bassa rispetto al passato e un nuovo ricorso alle urne aumenterebbe il distacco dalla politica, soprattutto la politica tradizionale, con il rischio di provocare tra gli elettori scelte anti-sistema come quelle che hanno portato alla Brexit in Gran Bretagna.

Anche se in uno scenario molto diverso rispetto al passato e con numeri molto più bassi, una buona parte della società spagnola ha votato per la stabilità, soprattutto stabilità economica. Negli anni del Partito Popolare l’economia, almeno stando ai grandi numeri, ha ripreso a funzionare. È vero che la Spagna ha rischiato la secessione della Catalogna, ma al momento l’allarme sembra rientrato.

Sette mesi fa nessuno ebbe il coraggio di trattare con gli avversari. Era la prima volta che più partiti si trovavano sullo stesso piano con l’obbligo di trovare un punto di contatto. Ma adesso non ci sono scusanti. I politici spagnoli devono accettare di essere entrati in una nuova fase nella gestione della cosa pubblica, e devono fare gli interessi dei cittadini.

Sui media spopola il toto-coalizione. Non è nemmeno da escludere il ricorso a un primo ministro tecnico. L’esempio è quello di Mario Monti.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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