Approfondimenti

Cina, una casa costa minimo 6.300 euro al mq

Prezzi che sono cresciuti in media del 52 per cento anno su anno (c’è chi dice del 72). Benvenuti a Shenzhen, terza città della Cina, dove la bolla immobiliare è più bolla che mai. Certo, la città simbolo del boom manifatturiero cinese è un caso eccezionale, ma rivela una tendenza diffusa: a gennaio, i prezzi a Shanghai sono aumentati del 18 per cento rispetto a un anno prima, a Pechino del 10 per cento. Sempre a Shanghai, tutti i 352 appartamenti di un nuovo complesso residenziale dove il metro quadro costa 80mila yuan (oltre 11mila euro) sono stati venduti in un giorno, riporta il South China Morning Post.

Alla faccia dell’urbanizzazione «sostenibile» e «incentrata sull’uomo», nelle maggiori città cinesi il costo del mattone continua a schizzare verso l’alto mentre, al contrario, nelle località minori – le cosiddette città di seconda-terza-quarta fascia – le case rimangono desolatamente vuote. La quantità di appartamenti già costruiti e invenduti è aumentata di oltre il 15 per cento lo scorso anno rispetto al 2014, fino a raggiungere più di 700 milioni di metri quadrati, ha detto Zhou Xiaochuan, governatore della Peoples’s Bank of China (PBOC).

È una forbice che continua ad allargarsi e che preoccupa le autorità economiche del Paese. Da anni si naviga a vista. Dal 2014, Pechino ha ricominciato a dare una «spintarella» all’immobiliare dopo precedenti misure che avevano raffreddato il mercato. Il punto è che il settore continua a rappresentare una delle voci più importanti nel Pil nazionale e l’economia sta già rallentando, non si può sgonfiare troppo la bolla. Sperando di ridurre l’abbondanza di invenduto sparso per tutta la Cina, la banca centrale ha così tagliato per sei volte i tassi di interesse – misura intesa a rilanciare tutta l’economia, a dire il vero – e i mutui sono scesi a minimi record.

Non solo: sono stati anche ridotti i requisiti minimi per ottenere un prestito, le tasse di transazione e anche la riserva obbligatoria delle banche. Lungi dal favorire la riduzione delle scorte nelle città più piccole, questa nuova liquidità immessa sul mercato si è diretta a spron battuto verso le maggiori metropoli, mentre le vendite sono rimaste ferme nei centri minori. Ed ecco spiegata la situazione attuale.

«Il governo sperava che più prestiti bancari sarebbero fluiti verso le città più piccole. Quello che è successo è l’opposto, i prestiti bancari finiscono soprattutto nelle grandi città», ha detto Du Jinsong, responsabile delle ricerche immobiliari sull’ Asia per Credit Suisse.Ma perché i soldi vanno dove non vuole il governo? Semplice: perché a Pechino, Shanghai, Shenzhen, il ritorno degli investimenti è garantito. Altrove no.Così, il governo insegue affannosamente il comportamento «indisciplinato» degli investitori. L’ultimo tentativo è stato quello di vietare, nelle grandi città, i prestiti a copertura dell’acconto sulla casa. Ci sono infatti parecchi cinesi che, oltre ad accendere un mutuo, fanno un altro prestito per ripagare ciò che prestito non dovrebbe essere, bensì solida base materiale. La pratica, oltre a gonfiare la bolla immobiliare, aumenta anche il rischio di non performing loans, prestiti inesigibili, a dimostrazione che problema del mattone e destabilizzazione del sistema finanziario vanno di pari passo.

Le nuove regole vietano a costruttori, agenzie immobiliari, piccole agenzie di credito e reti di finanziamento peer-to-peer di offrire prestiti a copertura degli acconti. Sono infatti spesso gli stessi attori interessati – come appunto i palazzinari – a travestirsi da agenzie di credito per finanziare l’acconto dei loro stessi debitori, in un avvitamento che aumenta a dismisura i rischi. La banca centrale e la China Banking Regulatory Commission hanno perciò chiesto agli istituti commerciali di esaminare con cura le richieste di mutuo e di respingere quelle in cui l’acconto è coperto da questo tipo di prestiti. Il vice governatore della PBOC, Pan Gongsheng, ha detto chiaramente a margine del Lianghui che si tiene in questi giorni che «le agenzie immobiliari e i costruttori non sono qualificati per condurre un business finanziario. [Se lo fanno] agiscono illegalmente».

Tuttavia, ogni misura decisa da Pechino rischia di avere l’effetto contrario. A Shanghai, per esempio, sarebbe stata proprio la carenza di alloggi che dipende dalle misure restrittive del governo a determinare l’ultima impennata dei prezzi. Così, nella capitale economica della Cina, gli appartamenti di nuova costruzione sono diminuiti a febbraio del 73 per cento, provocando un aumento dei prezzi del 24 per cento. A febbraio, il prezzo medio per metro quadro era di 46mila Rmb a Shenzhen (oltre 6300 euro) e di 40mila a Shanghai (oltre 5500), secondo dati Sofun-Hsbc, ripresi da Business Indsider. A Milano, la valutazione media al metro quadro è di 2755 euro, 3074 a Roma.

Anche nelle piccole municipalità le misure di stimolo del governo sembrano ottenere l’effetto indesiderato. Per aiutare i lavoratori migranti a stabilirsi in città, più di 50 governi locali hanno cominciato a fornire sussidi per gli acquirenti di case. Ma l’effetto di tale pioggia di soldi è stato quello di aumentare le vendite di nuove unità, piuttosto che di smaltire lo stock esistente. Il punto è che alcuni governi locali hanno approfittato dei sussidi per vendere altri lotti ai palazzinari, il che non fa che accrescere la disponibilità di case invendute.

Così, nei 718 milioni di metri quadri vuoti di cui parla il governatore Zhou, non sono compresi i progetti immobiliari in corso o quelli in cui i cantieri non sono stati ancora aperti. China Index Academy, che è un’agenzia specializzata in ricerche immobiliari, calcola che se si considerassero anche quelli, i metri quadri vuoti salirebbero alla quantità folle di 6,2 miliardi, una riserva che richiederebbe cinque anni per essere smaltita. Sempre che non si costruisca ancora.

Tratto da China Files

  • Autore articolo
    Gabriele Battaglia
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