Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Venerdì 10 aprile 2020

Giuseppe Conte 2020 fase 2

Il racconto della giornata di venerdì 10 aprile 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia diffuse oggi al nuovo DPCM che proroga le misure restrittive, salvo qualche piccola eccezione, fino al 3 maggio 2020. Nel giorno della proposta di accordo dell’Eurogruppo, facciamo chiarezza su cosa si è deciso. L’assessore al Welfare della Lombardia, intanto, rivendica la politica adottata sulle RSA della Regione mentre una testimonianza denuncia quando accadde alla fine di febbraio ad Alzano Lombardo. Infine, i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

I numeri dell’epidemia nelle ultime 24 ore in Italia. Per il sesto giorno consecutivo calano i malati nelle terapie intensive e per il quinto i ricoverati. Oggi, anche i morti.
Ci sono stati quindi 570 morti, 40 in meno di ieri. La cifre resta alta, così come elevata è quella dei nuovi positivi, 3951, nella giornata in cui è stato fatto il numero più alto di tamponi da inizio epidemia, oltre 53mila.
In Lombardia i nuovi casi accertati sono 1246, quasi la metà dei quali in provincia di Milano e di Brescia. 216 i decessi, 84 meno di ieri.

Conte annuncia la proroga delle misure restrittive

L’annuncio della proroga delle restrizioni, un attacco ai capi dell’opposizione e un avvertimento ai leader europei. Giuseppe Conte ha formalizzato il prolungamento delle misure di contenimento al 3 maggio: “Non possiamo vanificare gli sforzi fatti”, ha detto il presidente del consiglio. Allo stesso tempo ha annunciato alcune riaperture già dal 14 aprile, per esempio quella delle librerie. Poi ha parlato del vertice europeo che ha raggiunto un primo accordo sulla risposta economica alla pandemia: “un primo passo ancora insufficiente”, ha detto Conte, che si è scagliato contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Nelle scorse entrambi hanno rilanciato la loro propaganda sul Mes, il cosiddetto fondo salva-Stati.

 

Coronavirus ed Eurogruppo: cosa prevede la proposta di accordo?

(di Alessandro Principe)

Commenti entusiasti, commenti stroncanti. Numeri e sigle, 500 miliardi, MES, BEI. Non è semplice orientarsi. L’accordo raggiunto con tanta fatica dall’Eurogruppo è buono o no? Si è finalmente vista la solidarietà europea? C’è una decisione all’altezza della gravità della situazione? Vediamolo insieme.

Lombardia, Gallera rivendica la politica adottata sulle RSA

(di Michele Migone)

Giulio Gallera ha rivendicato la politica adottata sulle RSA. Non ha voluto parlare di errori nella sua gestione, ma, per presentarli con un’altra veste all’opinione pubblica, nella conferenza stampa, li ha trasformati nelle uniche opzioni possibili da adottare visto la situazione eccezionale in cui ha dovuto operare. Siamo stati colpiti dalla bomba atomica, siamo stato costretti ad agire cosi. Molti operatori sanitari si sono ribellati a questa narrazione. Scelte sbagliate, non opzioni obbligatorie.
Gallera le ha spiegate così: per liberare posti dagli ospedali siamo stati costretti a mandare pazienti con il COVID-19 nelle RSA. Nessuno degli ospiti è stato contagiato – ha assicurato – perché erano in strutture separate. Nessuno però per ora può verificare questa affermazione. Vedremo cosa diranno le inchieste in corso.
Gallera ha poi anche rivendicato l’indicazione di isolare gli anziani ospiti delle RSA con il coronavirus e non portarli in ospedale. Una scelta logica, visto che gli ospedali lombardi sono diventati ben presto dei lazzaretti, ma Gallera si è scordato di dire che nelle RSA mancavano gli strumenti per dare un assistenza adeguata. Dal personale, perché medici e infermieri sono stati presi dalla Regione e mandati negli ospedali, alle mascherine, dai respiratori alla possibilità di isolare i contagiati. Di fatto, centinaia di persone nelle RSA sono lasciate al loro destino.Sui 10. 000 morti lombardi, 1822 sono delle RSA. Quasi il 20%. E queste sono solo le cifre ufficiali. Il quadro reale uscirà nelle prossime settimane. Più che le commissioni d’inchiesta dovrà esser la magistratura a dire chi ha sbagliato.

Alzano Lombardo, la testimonianza del 24 febbraio 2020

(di Roberto Maggioni)

La testimonianza che chiama in causa direttamente l’assessore alla sanità Giulio Gallera è andata in onda al Tg1. A parlare in forma anonima è un primario dell’ospedale di Alzano Lombardo. “Noi volevamo chiudere – dice il primario – ma la sera del 23 febbraio quando eravamo in riunione con il direttore dell’ospedale arrivò una telefonata dal direttore generale dell’assessorato al welfare Cajazzo: non si può chiudere perché abbiamo un malato in ogni provincia“. Quindi riaprite tutto.
Luigi Cajazzo è il braccio destro di Gallera. La scelta di riaprire si rivelò catastrofica. Quel giorno c’erano già due positivi all’ospedale di Alzano che moriranno domenica notte e lunedì.
La testimonianza che vi facciamo ascoltare è proprio di lunedì 24 febbraio. Si tratta di una lavoratrice dell’ospedale. Dice due cose: il direttore dell’ospedale di Alzano era contrario alla riapertura del pronto soccorso, la riapertura venne fatta senza particolari restrizioni e sanificazioni.

Il giorno dopo, martedì 25 febbraio, il direttore medico dell’ospedale di Alzano Giuseppe Marzulli scrive una lettera – che abbiamo potuto visionare la mattina di venerdì 10 aprile – alla direzione dell’A.S.S.T. Bergamo Est dove scrive “in queste condizioni il pronto soccorso di Alzano non può rimanere aperto“. Le condizioni sono quelle di un pronto soccorso già contagiato dal COVID-19 e dove la direzione sanitaria provinciale stava mandando anche i pazienti con sospetto COVID-19 ad attendere l’esito del tampone.
Indicazione assurda” scrive il direttore medico dell’ospedale di Alzano. “I tempi di refertazione sono intorno alle 48 ore, farli stazionare qui è una cosa contraria a qualunque protocollo e al buon senso“.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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