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Un futuro sempre più incerto. Per tutti

La Brexit è una vicenda piena di contraddizioni, e le contraddizioni non sono finite. Nonostante l’umiliante sconfitta di ieri sera – mai nella storia parlamentare britannica un primo ministro aveva perso con questi numeri – Theresa May potrebbe rimanere al suo posto.

Questa sera, alle 20 ora italiana, si voterà la mozione di sfiducia presentata da Jeremy Corbyn, il leader del partito laburista, il principale partito d’opposizione. L’ultima contraddizione è che i conservatori ribelli e gli unionisti nord-irlandesi, che hanno bocciato l’accordo con Bruxelles, hanno già fatto sapere che daranno la loro fiducia alla May.

Se così sarà lei ha già detto che ascolterà tutti i parlamentari, cercherà un nuovo consenso su un possibile accordo modificato e lunedì prossimo si presenterà in parlamento con un piano B. Poi però dovrà andare a fare richieste a Bruxelles, dove nessuno vuole riaprire il negoziato vero e proprio.

Se invece il parlamento dovesse sfiduciarla ci saranno due settimane di tempo nella quali la May o qualcun altro potranno ancora provare a mettere in piedi una maggioranza. Se nessuno fosse in grado di ottenerla si andrà allora a elezioni anticipate.

Il problema è la tempistica. La Brexit è fissata al 29 marzo. Londra potrebbe chiedere una proroga all’Unione Europea, per la quale è necessario il consenso di tutti gli altri stati membri dell’Unione Europea (e qualcuno potrebbe mettersi di traverso), oppure potrebbe ritirare l’articolo 50 e quindi tutta la Brexit. Questo per evitare di uscire dall’Unione senza accordo. La comunità economico-finanziaria britannica è terrorizzata da questa eventualità. Ma per fare un passo indietro sarebbe necessario ancora una volta il voto del parlamento, anche se su questo non c’è una precisa legislazione.

Ma a prescindere da quello che succederà tutta questa storia ha messo a nudo i tanti problemi di questo paese. La crisi dell’ordine costituzionale – Scozia e Irlanda del Nord sono sempre più lontane da Londra e l’Inghilterra è ormai un altro paese rispetto al resto del Regno Unito. La distanza tra la classe politica e gli elettori – i britannici hanno chiesto una cosa che governo e parlamento non sono in grado di realizzare. Gli effetti pericolosi delle crisi e delle trasformazioni economiche degli ultimi 30/35 anni – le parole contro gli immigrati e gli stranieri, che si possono sentire ovunque uscendo dalle zone ricche, sono il risultato di un’insicurezza sociale ed economica che arriva da lontano. Una chiave questa che ci può aiutare a comprendere, almeno in parte, quello che sta succedendo anche in altri paesi, Italia compresa. E al giorno d’oggi capire, prevenire e agire sarebbe molto più utile che non attaccare i politici che soffiano sul fuoco.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Il grande flop delle case della salute. Solo il 5% è pienamente funzionante. La denuncia del Pd lombardo

    Dovevano essere i presidi con cui ricostruire la sanità sul territorio in Lombardia, ma finora le case di comunità sono state un flop. 216 sono quelle previste entro la scadenza dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che arriverà a giugno 2026. Al momento 140 hanno aperto, ma solo otto in tutta la regione (sei in provincia di Bergamo e due nel varesotto) hanno tutti i requisiti obbligatori previsti dalla legge. In totale sono meno del 6 percento. La denuncia è del gruppo consiliare del Partito democratico lombardo che ha fatto un accesso agli atti alla direzione generale Welfare per ognuna delle case di comunità attive in Lombardia. L’assessorato ha replicato che i numeri diffusi “sono usati in modo difforme dalla realtà. Le rilevazioni mostrano percentuali elevate di attuazione per la maggior parte dei servizi obbligatori”. Per il capogruppo del Pd al Pirellone, Pierfrancesco Majorino, “Regione Lombardia è in colpevole ritardo”.

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