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Brexit, il ricatto che non ha pagato

Il risultato del voto referendario che ha sancito, almeno teoricamente, l’uscita del Regno Unito dall’UE era già scritto dal lontano 1984, da quando cioè Margaret Thatcher aveva ottenuto, minacciando l’uscita di Londra dalla Comunità, il cosiddetto rebate, ossia il rimborso di una parte di quanto versato dalla Gran Bretagna a carico dei partner. Ben 38,5 miliardi di euro dal 2007 a oggi. Ed è stata sempre questa logica ricattatoria a guidare il peggiore politico nella storia britannica, David Cameron, a inventarsi un referendum non obbligato, a indirlo e poi ad andare a Bruxelles per negoziare altri privilegi con la rivoltella puntata alla tempia dei partner.

I privilegi ottenuti – che sarebbero entrati in vigore se il voto fosse stato diverso – avevano dello scandaloso. Si sarebbe sancito un ulteriore distinguo tra i membri dell’Unione sul piano della libera circolazione e del godimento del welfare, sulla politica migratoria, sui fondi da trasferire. Ma il punto più controverso riguardava lo stop del processo di accelerazione verso la costruzione di uno spazio politico sovranazionale al quale trasferire man mano più competenze. Con questo bottino, il premier Cameron era tornato a casa convinto di poter influenzare il suo elettorato. Ma questa volta il ricatto non ha pagato, e dopo la sbornia secessionista il Regno Unito si sveglia più povero, più isolato e corre il serio rischio di perdere la propria unità nazionale.

Pochi osservatori hanno segnalato che le conseguenze di questo voto potrebbero cambiare gli equilibri del dopoguerra, e che i rapporti atlantici potrebbero complicarsi per via della perdita dell’interlocutore europeo di fiducia di Washington, auto-esclusosi dalle stanze che contano a Bruxelles. Così come si può ormai dire senza paura di essere sconfessati che il TTIP, l’Accordo di libero scambio USA-UE, voluto fortemente da Washington e da Londra, verrà messo nel freezer.

Tra le due Europe, la prima storicamente rivendicata da Londra che considera l’Unione semplicemente come un’area di libero scambio con qualche vincolo in più, e la seconda, quella franco-tedesca che punta alla costruzione progressiva di un super-Stato guidato dai Paesi, potrebbe ora prevalere quest’ultima. Ma non è detto che finisca così. Con l’introduzione dell’euro si era già segnato uno spartiacque accettando che nove Stati su ventotto non adottassero la moneta unica, e quindi che si creassero due diverse “zone” dentro la stessa Unione.

L’Europa si trova ora davanti al bivio: deve scegliere se rilanciarsi o perire velocemente. Al momento, le probabilità che si verifichi l’uno o l’altro dei diversi scenari ipotizzabili sono alla pari. Un’Europa che si arrende ancora una volta, e che dà tempo al Regno Unito per tenere un altro referendum, questa volta dall’esito positivo, premiandolo con i privilegi già concordati. Un’Europa che si sfalda velocemente perché altri Paesi attivano la procedura per l’uscita. Un’Europa che decide di procedere a tappe forzate verso l’unificazione oppure che sancisce un’Unione a due velocità, con un nucleo centrale più unificato e una seconda cerchia di associati. Tutti scenari possibili in un continente che da tempo naviga a vista.

Oggi più che mai ci vorrebbe una classe politica europeista, come quella degli anni ’50-’70 del secolo scorso. Ci troviamo invece a fare i conti con il piccolo cabotaggio di leader senza progetto e con le arringhe nichilistiche degli arruffapopoli. Un mix di incompetenza e mala volontà che non produce nulla di buono. L’unico dato certo è in questo mondo sempre più alla deriva verso populismi e autoritarismi, il progetto dell’Europa federale, democratica e solidale di Altiero Spinelli andrebbe perseguito ancora con tenacia, per convenienza e per principio.

Alfredo Somoza è direttore di Dialoghi.info

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    Alfredo Somoza
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    È morta Patrizia Arnaboldi. Femminista, militante comunista, è stata tra le fondatrici di Radio Popolare

    È morta Patrizia Arnaboldi. Aveva 78 anni. Storica militante comunista, protagonista del femminismo a Milano e del movimento studentesco, negli anni Ottanta è stata deputata per Democrazia Proletaria. Legata a Rifondazione Comunista, negli ultimi anni ha partecipato a molte battaglie a difesa della città. Una delle ultime, quella legata agli alberi di piazzale Baiamonti. Patrizia Arnaboldi, 50 anni fa, è stata anche una delle firmatarie, davanti al notaio, dell’atto di nascita di Radio Popolare. Ecco il ricordo di Matteo Prencipe, segretario lombardo di Rifondazione Comunista, e di Basilio Rizzo, storico consigliere comunale milanese.

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    Fa troppo caldo: scioperano i lavoratori della Emmegi, che costruisce condizionatori a Cassano d’Adda

    Troppo caldo, lavoratori in sciopero. 36 gradi nel capannone dove si producono componenti per i condizionatori. Il paradosso è che, in quella ditta, si producono scambiatori di calore, componente fondamentale per gli impianti di climatizzazione. Che però, nei capannoni della Emmegi di Cassano d’Adda, non ci sono. La conseguenza, temperature roventi, che superano i 36 gradi, e condizioni di lavoro inaccettabili. Per questo lavoratori e lavoratrici stanno scioperando, per ottenere almeno un po’ di refrigerio, che però al momento viene negato dalla proprietà, che anzi ha incaricato un consulente per farsi dire che “la temperatura è acettabile”. Maurizio Iafreni è Rsu Fiom alla Emmegi e responsabile della sicurezza: (foto Fiom Cgil)

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    Gaza, ipotesi di tregua tra le bombe d’Israele, con Paola Caridi, giornalista, saggista, esperta di Palestina. La trattativa sui dazi e la debolezza dell’Europa, con Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, editorialista del Sole 24 Ore. Il caso del libro di storia che non piace a Fratelli d’Italia, con uno degli autori del libro, lo storico Carlo Greppi. Milano sempre più cara, chiudono anche i negozi per gli affitti troppo alti: il microfono aperto. Mao Valpiana del Movimento Noviolento ricorda Alex Langer a 30 anni dal suicidio. La quarta puntata di “Racconto Lucano” con Sara Milanese.

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