Breaking Dad

Tutta nostra la città

Il fatto è che si sta tanto nel proprio quartiere. Casa, scuola, parchetto. Campo di calcio, parchetto, casa. Spesa, scuola, eccetera. Lo confesso, io nei miei vari quartieri, fosse Verona, la mia città, fosse Trento, dove ho studiato, o altri posti, mi ci sono sempre trovato bene. Mi piace quel senso di consuetudine rassicurante.

Mi piace incontrare qualcuno che conosco. Però, dai, mi sono reso conto con gli anni che così si rischia di fare un po’ come Truman: “caso mai non vi vedessi buon pomeriggio, buona sera e buona notte”. E quindi mi sono preso un po’ a calci. Figuriamoci da quando – e ormai sono un bel po’ di anni – vivo a Milano. Una babele di zone, quartieri, borghi: soprattutto agli occhi di un provinciale, tanta roba.

E insomma, ragazzi. Bisogna che andiamo un po’ in giro per la città.

– Ma a fare cosa, papà?

-Eh, a vedere, a esplorare.

-Ma non siamo mica in vacanza, non siamo mica turisti…

-Al parchetto almeno ci sono i miei amici…

Le sensate obiezioni dei ragazzi cadono grazie a una serie tv.

Si intitola Zero ed è ambientata alla Barona, storico quartiere popolare alla periferia ovest di Milano. C’è un ragazzino, Omar, italiano di seconda generazione di origini senegalesi, che si destreggia per le strade, tra bulli, piccola criminalità e il superpotere di diventare invisibile. Con gli amici, tra l’altro, deve difendere il suo quartiere dalla speculazione edilizia che minaccia il Barrio, il luogo di ritrovo e di vita della compagnia.

– Papà, ma la Barona esiste davvero?

– In che senso, Fabri?

-La Barona, dove c’è il Barrio, quello della serie, esiste?

-Certo che esiste…

Domenica mattina. Si parte.

Il giro, oltre alla Barona, comprende un’altra location tratta sempre dalla serie tv. Caso vuole che una protagonista, che fa un po’ da contraltare urbano, viva in zona Garibaldi, a ridosso di piazza Gae Aulenti e del celeberrimo Bosco Verticale. Seconda tappa.

Poi, quando siamo già sulla porta, si inserisce una variabile non prevista.

– Possiamo comprare un manga?

-Bè, si va bene. Dov’è il negozio di fumetti?

-Sui Navigli.

-Personaggi della serie, lì, ne abbiamo?

-No, solo il negozio di fumetti.

-Ok, terza tappa.

Mi viene in mente una canzone di Lucio Battisti che fa: “… chiedere gli opuscoli turistici della mia città/e con te passare il giorno a visitar musei…

Va bè, noi visiteremo quartieri e fumettoteche. Ma il senso del buon Lucio (e del buon Mogol) è quello: passeggiare come visitatori nella propria città dà una sensazione di leggerezza, di allegria, non so perché. Come aprire un cassetto che hai davanti tutti i santi giorni e – pensa te – ci trovi dentro un libro di poesie o una biglia di vetro colorato o cinque euro.

Fotografie dal tour.

Barona 1: uomo di mezza età con cappello da cowboy e sigaretta tra le labbra seduto su un bidone della spazzatura. (Fabrizio: “Figo!”)

Barona 2: scritta sul muro: “Salvini m.” (Francesco: “Figo!”)

Barona 3: il Barrio, i murales, splendidi. La balena azzurra, Angela Davis, le Donne Partigiane, una scimmia, un tipo mostruoso. Colori. (Fabri e Franci, all’unisono: “Fighissimo!!!”, seguono selfie)

Barona 4: i palazzoni. (“Ecco, Zero abita lì, ma posso chiamarlo urlando?” “Boh, prova…” “No, vabè, fa niente”)

Gae Aulenti 1: l’acqua della fontana a raso (Fabri: “Si può entrarci?”)

Gae Aulenti 2: i grattacieli (Franci: “Come fanno a pulire i vetri?”)

Gae Aulenti 3: il giardini, le panchine fatte a sdraio, le erbe aromatiche. (Fabri: “A me piaceva di più la Barona”)

Gae Aulenti 4: Bosco Verticale, foto da sotto in su. (Franci: “Ma come funziona il sistema di irrigazione?”)

Dell’ultima tappa, quella nel negozio di fumetti del Naviglio non ci sono foto. Troppa gente, dentro. Meglio fare in fretta. Sigilliamo le mascherine e al volo portiamo alla cassa due manga Devil Man e due Scottecs Toons.

A casa ritroviamo la torta per la merenda e il consueto panorama dalla finestra. Più una biglia di vetro colorato sul fondo del cassetto.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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