Il tè nel deserto

Se al virus sopravvivono solo i ragazzini

Stavo guardando qualche episodio di Anna, la serie tv scritta e diretta da Niccolò Ammaniti, tratta dal suo romanzo omonimo del 2015 e mi sono chiesta quanto fosse casuale l’uscita in questo periodo storico. Infatti presumo che non lo sia per niente, anche se l’autore presentandola, non ha fatto molti riferimenti alla pandemia che stiamo vivendo. Il romanzo è ambientato in Sicilia nel 2020 e si svolge in un contesto post pandemico. Cioè, poco tempo prima un virus ha ucciso tutti gli adulti, risparmiando i bambini che si trovano orfani e devono arrangiarsi per sopravvivere.

<<Questa storia nasce da un pensiero puramente biologico comportamentale: cosa farebbero dei bambini abbandonati a loro stessi? Da qui sono partito a ipotizzare che per qualche ragione nel mondo siano scomparsi gli adulti>>.

L’obiettivo di questa storia, come ha spiegato Ammaniti, erano i ragazzini e le ragazzine in un mondo senza adulti e il virus chiamato la Rossa, che si espande in tutto il mondo aggredendo i polmoni e togliendo l’aria, era soltanto un pretesto per sterminare letterariamente tutte le altre generazioni. All’inizio di ogni episodio viene precisato che la serie è stata girata nel 2019, prima dell’arrivo del Coronavirus. Detto questo, le coincidenze sono inquietanti. Molto inquietanti.

Ma come detto, tolte le analogie che hanno visto sparire nell’ultimo anno una generazione di anziani e adulti, l’anno in cui questo sarebbe accaduto e le modalità di come il virus avrebbe aggredito rapidamente i contagiati, tutto il resto si muove in un contesto tra il fantasy e la fantascienza. Con scenari apocalittici, che spesso il cinema ha mostrato quando si tratta di day after, con l’accumulo di generi primari, volti sporchi, fame, debolezza e ricerca spasmodica di un luogo per ripararsi.

Nella serie Anna c’è tutto questo, ma c’è anche l’interessante ipotesi di un mondo in mano ai più piccoli, c’è un contesto che richiama anche una favola dell’orrore, ci sono delle luci calde che si fondono con delle luci freddissime. C’è uno sguardo analitico che cerca di esplorare i pensieri e i sentimenti più profondi, restituendo allo spettatore la stesso tipo di riflessione.

Qualche mese fa leggevo che Contagion è stato uno dei film più scaricati nell’ultimo anno. Nel 2011 il regista Steven Soderbergh si inventava una storia che parlava della diffusione di un virus trasmesso da goccioline respiratorie, di una pandemia che sovvertiva l’ordine sociale e della ricerca di un vaccino. Questo virus partiva da Hong Kong, da lì arrivava negli USA il paziente zero che diede inizio al contagio irrefrenabile. Per questo film, interpretato tra gli altri da Matt Damon, Marion Cotillard, Jude Law, Gwyneth Paltrow, Soderbergh si era consultato con alcuni medici dell’organizzazione Mondiale della Sanità, prendendo ispirazione dall’epidemia di SARS cominciata nel 2002.

Ma questa è solo finzione, nella realtà invece vediamo altro.
Oppure no…

 

 

  • Barbara Sorrentini

    Laureata in filosofia, giornalista, conduttrice e autrice a Radio Popolare. Dal 2002 cura e conduce la trasmissione “Chassis” e per qualche anno ha realizzato “Vogliamo anche le rose”, dedicata ai documentari. Per Radio Popolare ha condotto i diversi contenitori culturali e tuttora realizza servizi e interviste per trasmissioni e Gr. Tra le ultime trasmissioni “A casa con voi” e “Fino alle 8” con la rassegna stampa del mattino. È stata direttrice artistica del Festival dei beni confiscati alle mafie. Ha collaborato con La Repubblica, E-Il Mensile, Pagina 99, blogger per MicroMega, Cineforum Web, Cinecittà News, 8 1/2. È tra i curatori del libro Entretiens- Nanni Moretti, edito dai Cahiers du Cinéma, ed è tra gli autori della Guida ai film per ragazzi (Il Castoro). È stata consulente dell’Assessorato alla Cultura di Milano (2012-2013).

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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