Appunti sulla mondialità

E alla fine vincerà il migliore

E’ Francia-Argentina la finale di oggi. Una squadra europea e una sudamericana che hanno entrambe già vinto due coppe del mondo. Due squadre con un “fenomeno”, Mbappè e Messi, entrambi giocatori del Paris SG di proprietà qatarina, ma questo è un altro tema. Paradossalmente, la squadra sudamericana è stata, insieme alla Croazia, la squadra più “bianca” dei Mondiali, mentre quella francese, quella più “africana” tra le europee. In realtà sono entrambe composte da questi “colori” per lo stesso motivo: le migrazioni. La squadra argentina è formata dalle terze o quarte generazioni di discendenti di italiani (Messi, Tagliafico, Di Maria, Armani, Pezzella), polacchi (Dybala), austriaci (Foyth), scozzesi (Mac Alister), spagnoli (Martinez, Romero, Molina, De Paul, ecc). Sono tutti senza eccezioni discendenti della grande ondata migratoria europea di fine ‘800-primi del ‘900. Non rappresentano però l’equilibrio etnico del paese, dove negli ultimi 30 anni sono immigrati milioni di boliviani, paraguayani, peruviani, colombiani e ultimamente senegalesi, senza dimenticare gli indigeni, e nessuno di questi è rappresentato nella nazionale. Dal lato francese, la maggioranza dei calciatori ha origini nord africane (Rami, Fekir, Mbappé per parte di madre), antillane (Varane, Lemar), dell’Africa occidentale e centrale (Kimpembe, Umtiti, Pogba, Mbappé per parte di padre, N’zonzi, Mandanda, Sidibé), spagnole (Lloris, Hernandez). Sono le seconde generazioni, oppure nati all’estero e arrivati in Francia da bambini, della grande ondata di immigrazione in Francia del secondo dopoguerra. Neanche loro rappresentano l’equilibrio etnico francese, dove le componenti immigrate o oriunde africane secondo le stime si aggirano attorno al 15% nelle aree metropolitane. Riassumendo, le nazionali francesi e argentine sono figlie, o bisnipoti, di fenomeni migratori globali che hanno assunto in diversi tempi e luoghi caratteristiche diverse. In Argentina arrivarono soprattutto europei un secolo fa, mentre in Francia africani da 50 anni ad oggi. Nessuna delle due nazionali rappresenta però l’equilibrio etnico reale dei rispettivi paesi.
La conclusione evidente, alla faccia dei gruppi ultra-nazionalisti che contestano la nazionale francese, è che in nazionale si arriva non in base alla nascita, né alla posizione sociale e nemmeno in base alla simpatia. In nazionale si arriva se si sa giocare, e finché il calcio sarà calcio questo principio non verrà mai meno. Il pallone da sempre è bianco e nero.
  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    È da poco uscito il secondo EP di Wayloz, artista italo-nigeriano che oggi è passato a trovarci a Volume per suonare alcuni brani. “Mentre nel precedente ep ho voluto catturare l’essenza di ciò che ero io con la chitarra in mano, qui c’è molto più spazio per gli arrangiamenti e per altri strumenti musicali”, spiega Wayloz. Tra folk primitivo, altrock, blues e suoni dell’Africa tribale, il disco è un viaggio tra atmosfere desertiche e rurali, che esplora il rapporto con la natura ma non solo: il titolo “We All Suffer” è più che altro un invito a riconoscere una condizione che è di tutti e a “trovare solidarietà e fratellanza con le altre persone”. L'intervista di Elisa Graci e Dario Grande e il MiniLive di Wayloz

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    Da Cortina a Milano in 12 giorni errando per antiche vie

    Errando per Antiche Vie è una grande azione performativa in cui artisti e pubblico percorrono a piedi la distanza che separa Cortina e Milano, tra il 5 e il 16 dicembre, a un mese dall’inizio delle Olimpiadi, per raccontare un territorio incredibile, contraddittorio che per la prima volta viene messo in luce dalle Olimpiadi. Un cammino lungo oltre 250 km, spettacoli teatrali e di danza, letture, pasti di comunità, incontri e dibattiti: un racconto della montagna fatto di sostenibilità, di protagonismo dei territori alpini e prealpini, di chi decide di vivere e lavorare in quota e nei territori periferici, al di là della spettacolarizzazione del momento olimpico. Michele Losi di Campsirago Residenza ha raccontato a Cult tutto il percorso. L'intervista di Ira Rubini.

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