Piovono Rane

Berlusconi nudo tenemos

Quante parole, quanti cortei, quante analisi, quanti libri.

Uno ne scrissi pure io, era il 1994, e il partito era appena nato. Probabilmente fu il primo, su Forza Italia, colpa o merito del mio mitico direttore, Lamberto Sechi, che qualche mese prima mi disse: vai un po’ a vedere che cosa sono questi club, cos’è questo popolo che impazzisce per un imprenditore.

Quante parole, quanti cortei, quante analisi, quanti libri.

E quante copertine di giornali, all’Espresso ne contammo cento qualche tempo fa, quando lui compiva ottant’anni e noi gli dedicammo l’ultima, in stile Andy Warhol, perché ormai era un’icona pop, non più un politico.

Ma prima, prima dico, che ora ci siamo dimenticati quasi tutto: l’odore della mafia – dalla Banca Rasini in poi -, lo sdoganamento dei fascisti, Raimondo Vianello e Mike Bongiorno e pure Ambra Angiolini che ci dicevano in coro sulle sue tivù di votare per lui, le leggi ad personam, le sentenze comprate, la barzellette sporche e cretine,  le corna al G8, Ruby la nipote di Mubarak, “guariremo il cancro entro tre anni”.

E il Popolo Viola, ve lo ricordate il Popolo Viola? C’ero anch’io al No-B day, sono perfino ancora un po’ orgoglioso di aver parlato in piazza San Giovanni, mio Dio quanti anni fa era,  vado su Wikipedia a vedere, ah sì, il 2009, una vita fa.

Una vita fa e oggi è la sua di vita a spegnersi lentamente, come accade a tutti i vecchi a un certo punto, anche se nel 2005 il suo medico personale diceva “Berlusconi è tecnicamente immortale”, si chiamava Umberto Scapagnini, il medico, nel frattempo è morto anche lui perché il tempo – si sa – divora tutti i suoi figli, tutti, nessuno escluso.

E adesso è il tempo del tramonto in solitudine, chiuso in una villa attrezzata come un ospedale, la stessa villa dei vertici politici e del bunga bunga, la villa che lui  comprò quasi 50 anni fa con la circonvenzione di una ragazzina fresca erede di una tragedia, la complicità dell’avvocato Previti, e poi Dell’Utri lì come “bibliotecario”, il mafioso Mangano lì come “stalliere”.

Ora sembra quasi un contrappasso: lui che aveva fatto dell’amore uno slogan politico, costretto a vedere e ascoltare dal letto la fuga vigliacca dei suoi, la grande diaspora dei beneficiati, il tradimento dei leccapiedi, di quelli che ridevano sguaiatamente alle sue barzellette per farsi ben volere dal capo, quelli che imploravano dieci minuti di udienza ad Arcore trapanando il filtro prima delle segretarie poi delle badanti, quelli senza dignità né idee che pensano a incassare ancora qualcosa, qualsiasi cosa, le briciole cascanti di un profitto politico antico, inventato da un altro quasi trent’anni fa, “L’Italia è il Paese che amo”.

Già, come tutto, stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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