Appunti sulla mondialità

2024, l’anno dell’incertezza

Nel 2024 si rischia che il caos internazionale già presente assuma proporzioni ancora maggiori. Vi sono in calendario due importanti appuntamenti politici, le elezioni per il Parlamento europeo a giugno e l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti a novembre, che stanno provocando lo slittamento di decisioni sul quadro internazionale, nel timore che prese di posizione forti potrebbero spostare gli equilibri elettorali. La stessa politica europea che in due anni di guerra tra Russia e Ucraina non ha proposto nemmeno un abbozzo di piano di pace né è riuscita a favorire il dialogo tra le parti, e che peraltro non intende essere coinvolta militarmente nel conflitto, ora rimanda qualsiasi decisione al dopo elezioni. Negli Stati Uniti il governo in carica, che dopo 5 mesi di conflitto a Gaza continua a chiedere timidamente e senza successo un “cessate il fuoco”, ora è in crisi perché una parte della base democratica rumoreggia e potrebbe decidere di disertare le urne, compromettendo la rielezione di Joe Biden.

Siamo davanti a una politica del nulla che, con l’alibi degli appuntamenti elettorali, si prende ulteriori mesi di ferie, lasciando nel frattempo il campo libero a progetti geopolitici di espansione attraverso la guerra e a regimi che guadagnano legittimità proponendosi come mediatori: sono Paesi nei quali il rischio di perdere consenso non esiste, semplicemente perché non si vota oppure si recita la parodia del voto, come nella Russia di Putin. In questi contesti i regimi sono inevitabilmente più dinamici e decisi nel prendere decisioni anche radicali, non avendo necessità di rendere conto a nessuno, non dovendo affrontare un’opposizione organizzata né media indipendenti pronti a denunciarne gli errori.

Di fronte alle sfide in atto, le democrazie dovrebbero riflettere sulle cause della paralisi che le blocca al momento di prendere decisioni. Cause che non nascono dai meccanismi della democrazia, per quanto più complessi e dunque più lenti rispetto a quelli dei regimi, ma dal progressivo processo di delega di responsabilità e poteri reali che ha ridotto la politica a incidere ormai quasi esclusivamente sulla dimensione locale: negli anni ’90 del XX secolo la politica delegò infatti all’economia la costruzione della globalizzazione, insieme alla definizione delle sue regole; negli anni 2000 ha delegato la gestione delle crisi e delle tensioni internazionali alle alleanze militari. Per i Paesi dell’Europa occidentale, la Nato è diventata il vero ministero degli Esteri: è all’interno della coalizione militare che sono maturate le principali decisioni e azioni compiute negli ultimi decenni al di fuori dai confini dell’UE, dal Kosovo alla Libia, dall’Afghanistan all’Ucraina. Oggi sta emergendo l’idea di coordinare o unificare le forze armate dei Paesi comunitari, operazione che però dovrebbe essere preceduta dalla costruzione di una posizione internazionale autonoma dell’Unione. Come potrebbe esistere un esercito europeo senza una politica europea sulla difesa e sulle grandi questioni internazionali? Ma anche di questo si discuterà quando avremo eletto il nuovo Parlamento europeo e la nuova Commissione a Bruxelles… Che però avrà sicuramente altre priorità, malgrado alle porte dell’UE stia divampando un conflitto pericoloso per tutto il continente, e altri focolai si stanno manifestando in Europa orientale e nel Mediterraneo meridionale.

A meno di colpi di scena militari, per capire l’andamento dei conflitti in corso non basterà nemmeno aspettare giugno: solo a novembre, infatti, sapremo chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. Se tornerà Donald Trump ne vedremo delle belle perché Trump, anche se sarà presidente di una democrazia, prenderà le sue decisioni senza farsi problemi, lasciando spiazzati gli alleati storici degli USA come i Paesi europei, considerati ingrati debitori che traggono vantaggio dalle spese militari sostenute dagli USA. Se nemmeno davanti a questi scenari a Bruxelles scattano i campanelli d’allarme, c’è il serio rischio di una dissoluzione futura del processo europeo, piuttosto che del suo allargamento o di una maggiore integrazione tra i Paesi membri. Questo perché se non sei tu a occuparti di politica estera, sarà la politica estera a occuparsi di te…

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Il drammaturgo Christopher Adams vince il Premio Annoni sfidando gli stereotipi della mascolinità

    Venison è il testo teatrale che si è aggiudicato il Premio Annoni per la Drammaturgia LGBTQ+ 2025 nella sezione in lingua inglese. Il suo autore, il drammaturgo angloamericano Christopher Adams, porta sulla scena una storia d'amore queer fra due giovani uomini, le cui vicissitudini professionali finiscono per scatenare dinamiche di competizione e predominio, tipiche di una mascolinità stereotipata. Il testo li consegna a una specie di resa dei conti nel cuore di una foresta, vicino a un capanno da caccia. Lo abbiamo intervistato mentre, a Londra, era appena uscito da un corso di tip tap. L'intervista di Ira Rubini.

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    Pubblica - 18-09-2025

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    A cura di Sara Milanese. Puntata dedicata alla guerra in corso in #Sudan e alla situazione umanitaria; con #IrenePanozzo facciamo una fotografia del conflitto sul campo e degli interessi regionali; con #ClaudiaPagani di #Emergency raccontiamo la situazione a #Khartoum.

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    Come voleva Silvio, la separazione delle carriere è (quasi) legge

    Il Senato approva in seconda lettura la riforma della giustizia della destra. Per Meloni serve a "liberare la magistratura da quella degenerazione correntizia", mentre Antonio Tajani parla di "battaglia storica fatta non per Berlusconi, che ci guarda da lassù, ma per ogni cittadino italiano". In primavera il referendum confermativo della riforma. I magistrati si preparano a mobilitarsi per il “no”. Per le opposizioni lo scopo finale della riforma è mettere la magistratura inquirente sotto il controllo politico del governo. Sul modello Trump. Ai nostri microfoni il Vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati, Marcello De Chiara: “Questa riforma cambierà l'assetto costituzionale del nostro Paese di fatto introducendo un quarto potere". Lo scopo finale della riforma non è togliere potere ai PM ma metterlo sotto il controllo politico per farlo diventare strumento delle politiche del governo. Come già fa Trump negli USA. L’intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli.

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    CARLO ROVELLI - IL VOLO DI FRANCESCA - presentato da Ira Rubini

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    A chi fa gioco il "clima d'odio"? A chi fanno gioco gli scontri e le divisioni a tutti i costi? Le mobilitazioni crescenti degli ultimi giorni su Gaza potrebbero portare forse a un doppio risultato: denunciare finalmente con più forza lo sterminio in corso e diradare la cappa di silenzio che, a furia di polemiche distinguo e divisioni, rischia di soffocare una democrazia. Condotta da Massimo Bacchetta

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