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Black Lives Matter in Italia. Intervista all’attivista Antonella Bundu

Black Lives Matter Italia

Black Lives Matter anche in Italia: tra sabato 6 e domenica 7 giugno in tante città manifestanti sono scesi in piazza, sull’onda delle mobilitazioni per l’omicidio di George Floyd, afroamericano soffocato a terra da un agente di polizia a Minneapolis, due settimane fa.

Sit-in e flash mob si sono tenuti a Firenze, Torino, Roma e Milano. Per tutta la settimana si preparano nuove iniziative anche in altre città. Sara Milanese ne ha parlato con Antonella Bundu, attivista, nera, ex candidata sindaco di Firenze, oggi consigliera comunale di Sinistra progetto comune.

Anche lei era in piazza a Firenze per il Black Lives Matter. Com’è andata?

Ci sono state due belle manifestazioni, una sabato organizzata dalle Rete antifascista e dalle Women’s March Florence davanti al consolato statunitense, dove abbiamo cercato di spiegare che non abbiamo manifestato solo in solidarietà a George Floyd, e per denunciare le centinaia di anni di sopraffazioni e discriminazioni negli Stati Uniti, ma anche per denunciare cosa succede in Italia. Abbiamo fatto il punto dei vari parallelismi e abbiamo parlato di cosa dobbiamo fare sul nostro territorio. Io vi parlo da Firenze e come saprete in questa città negli ultimi 10 anni il 100% degli omicidi con arma da fuoco ha coinvolto esclusivamente persone nere. Pensiamo di non poterci auto-assolvere. Non ci sono solo episodi di violenza: ci sono tanti piccoli episodi che non sono poi così piccoli, perché è da queste piccole cose che poi possono scaturire episodi di razzismo, che noi italiani viviamo tutti i giorni perché considerati stranieri per il nostro aspetto fisico.

Crede che la partecipazione degli italiani alle manifestazioni per Black Lives Matter sia stata alta, o almeno adeguata al periodo post lockdown?

Considerato il periodo credo che in tanti abbiano deciso di non partecipare per paura di non riuscire a rispettare le misure di contenimento; tengo a precisare che avevamo tutti le mascherine, tranne quando parlavamo al microfono, e abbiamo cercato di mantenere le distanze. C’è stata comunque una grande partecipazione; anche ieri in piazza della Santissima Annunziata c’erano centinaia di persone, soprattutto ragazzi e ragazze. Spesso diciamo che i più giovani non hanno interessi e invece in questa occasione erano pronti ad ascoltare e a parlare, a dare delle risposte. Così come per il movimento dei giovani di Fridays for Future, che in Italia non sono molto considerati. Fanno più notizia i neofascisti che si picchiano tra loro a Roma, ma spero che la grande partecipazione e attenzione che c’è stata per il Black Lives Matter in questa questo fine settimana non si fermi qui. Spero che nasca un movimento che prende in considerazione quello che accade qui, che chieda a gran voce che vengano abrogati, non rivisti o cambiati, i decreti sicurezza che istituzionalizzano quella che è la differenza tra gli ultimi, che spesso sono gli immigrati. Sono leggi che discriminano, e che portano a quel razzismo che vediamo sia in Italia che all’estero.

Le seconde generazioni sono cresciute, sono ormai genitori, sono una presenza forte e consolidata nella società, così come i giovani che stanno frequentando o hanno terminato da poco il loro percorso scolastico: la scuola, a differenza di anche solo 20 anni fa, mostra la vera faccia dell’italianità di oggi, cioè molto varia.

Devo ammettere che mi sentivo anagraficamente vecchia all’interno di queste manifestazioni e questo è un aspetto molto positivo. C’erano le prime generazioni, come me. Mi hanno sempre chiesto “da dove vieni?”, io ho sempre risposto che sono italiana, nata in Italia da madre italiana e non è mai stato sufficiente: tutti volevano arrivare a sapere di mio padre sierraleonese, di cui sono fiera. Eppure non vengo mai considerata come un’italiana al 100%. Ieri abbiamo avuto sul palco ragazzi e ragazze di seconda generazione che parlavano con l’accento toscano, identico a quello dei loro compagni. E che lamentavano comunque di non avere gli stessi diritti dei loro compagni, di non avere la cittadinanza. Ed è per questo che devono lottare al fianco di chi è appena arrivato in questo Paese anche per richiedere quello che è sul tavolo da troppo tempo e non è stato portato a termine né dai governi di destra né da quelli che chiamiamo di centrosinistra: sto parlando di Ius Soli, o almeno di Ius Culturae. Sono temi fondamentali per definire quello che è il nuovo volto dell’Italia. Il non voler governare l’immigrazione è controproducente anche per chi è leghista.
Ci sono 600mila persone stimate irregolari in Italia; persone che devono lavorare e che se non regolari sono costrette a farlo in nero; ora è stata fatta questa regolarizzazione che sicuramente apre una sorta di breccia. Non voglio criticare la Ministra Bellanova, penso che lei abbia voluto aprire un fronte; però quanto fatto finora è insufficiente. Dare la possibilità a queste persone di lavorare solo nell’assistenza domiciliare o nell’agricoltura è limitante: sono in tanti a lavorare non in regola anche nel turismo, nell’edilizia o in altri settori. Regolarizzarli per soli 6 mesi vuol dire tutelare solo la filiera agricola e fare in modo che frutta e verdura non marciscano nei campi ma arrivino nelle nostre case; e poi rimettere questi lavoratori nell’illegalità. Durante questa pandemia mondiale ci stanno chiedendo di diventare tracciabili anche via app, e noi cosa facciamo? Lasciamo nell’illegalità, cioè nella non tracciabilità, seicentomila persone che sappiamo essere sul territorio in condizioni non dignitose.

Foto dalla pagina Facebook di Antonella Bundu

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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