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“Ascoltare la scienza, anche se non ha tutte le risposte”: parla il fisico Rovelli

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La vita e la morte ai tempi di COVID-19. Il tramonto della pretesa di onnipotenza da parte degli umani. E poi: la scienza e le risposte mancanti agli interrogativi sul virus. La politica e le denunce inascoltate degli scienziati, dalle pandemie al surriscaldamento del clima.

Sono alcuni dei temi affrontati a Memos da Raffaele Liguori con il fisico teorico e filosofo della scienza Carlo Rovelli. Il professor Rovelli è uno dei fondatori della teoria della “gravità quantistica a loop”. Una teoria che è un tentativo di conciliazione tra i due pilastri della fisica contemporanea: la relatività generale e la meccanica quantistica. Due pilastri che si contraddicono a vicenda. Rovelli ha realizzato in questi anni un’impresa non comune: è riuscito ad avere l’attenzione, la curiosità, di centinaia di migliaia di persone – sparse in tutto il mondo – sulla scienza e sul pensiero scientifico. Un’attenzione catturata con i suoi libri «Sette brevi lezioni di fisica», e l’«Ordine del Tempo» (Adelphi, 2014 e 2017).

Raggiungiamo Carlo Rovelli in Canada, dove il contagio da coronavirus sta riguardando oltre 24 mila persone e le misure di distanziamento sociale sono altrettanto restrittive che in Europa.

Per prima cosa permettimi di mandare il mio più affettuoso saluto e vicinanza a Milano, a tutta la Lombardia, a Brescia, a Bergamo. Io sono veronese di origine, la mia famiglia è di Verona. Tutto il mondo sta soffrendo in questo momento, il lockdown è quasi globale nel mondo. Ma certamente la Lombardia è uno dei posti che sta soffrendo di più, quindi tutta la mia vicinanza.

Coronavirus, il virus che arriva da lontano, dalla Cina. Un virus che deriverebbe da pratiche che – qui in Occidente – sono state definite arcaiche (vedi la vendita ai mercati di animali selvatici vivi). Quel virus si porta dietro un sacco di paure e angosce, legate alla morte. Tu hai provato a ribaltare il senso comune secondo il quale questa pandemia è una questione di vita e di morte. Di cosa si tratta?

Penso ci sia un errore nel modo in cui stiamo vivendo questa pandemia. E’ come se il Coronavirus fosse l’arrivo della morte e noi stessimo combattendo contro la morte che arriva da lontano. È un errore perchè la morte c’è lo stesso, anche senza virus. Ciò non vuol dire che non dobbiamo combattere come stiamo facendo. Al contrario. Io sono estremamente favorevole a tutte queste misure che sono state prese. Penso che i governanti siano ragionevoli nel chiederci di stare in casa. Stiamo combattendo per permettere a delle persone di vivere un po’ di più.
Ma che cosa sono le paure e le angosce, come dicevi tu? Secondo me, non è la morte che arriva, è semplicemente qualcosa che di solito non vogliamo vedere e che adesso è più visibile a tutti. Io stesso, nei primi momenti, mi dicevo: potrebbe essere che domattina comincio a tossire, faccio fatica a respirare, nel giro di 48 ore un’ambulanza mi porta in una fredda camera bianca dove due giorni dopo finisco col morire.
Però, questa stessa cosa poteva succedere anche prima, uguale. Non solo poteva succedere, ma prima o poi succederà. La morte è una parte della vita. È un dolore tremendo per chi resta e perde le persone care, ma è un dolore che arriva comunque. Mio padre è morto l’anno scorso, mia madre qualche anno fa. Degli amici miei sono morti negli anni precedenti, senza il virus.
Questa parte della vita – che è il dolore della perdita delle persone – è inevitabile e fa parte di noi. Non ci deve angosciare perchè la vita è fatta così. Nella vita c’è anche questo dolore. Ovviamente, l’intera civiltà è stato uno sforzo per permetterci di vivere di più. Noi non moriamo a 30 anni, ad un’età che nel medioevo rappresentava l’aspettativa di vita. Viviamo fino a 70, 80, 90 anni.
Lo sforzo che stiamo facendo tutti insieme è quello di permettere al nostro sistema medico di curare quelli di noi che stanno male e di regalarci un po’ di vita in più. Penso che sia un bellissimo sforzo comune che stiamo facendo tutti insieme per permetterci di vivere un po’ di più, che è ciò che la medicina sa fare. Lo sa fare nei limiti, però, del fatto che siamo mortali. Sono dei limiti che talvolta non vogliamo vedere.
Dobbiamo vivere con serenità anche nei momenti in cui questa cosa ci sembra più vicina. Non c’è una morte che arriva, c’è una morte di sempre. Quanti sono morti in Italia, ventimila persone? Certo è terribile, ma in un anno normale – senza virus e pandemia – muoiono regolarmente in Italia ventimila persone, creando lo stesso dolore nelle famiglie.
Quindi, penso che in fondo quanto sta succedendo ci renda più umani. Ci fa vedere di più quello che siamo, le nostre debolezze, la nostra limitatezza. Viviamolo il più possibile con serenità, senza sminuire tutto lo sforzo bellissimo di cercare comunque di regalarci più vita possibile.

Non credi che una parte di questa angoscia possa essere provocata anche dal fatto che viviamo una sensazione di vulnerabilità, non individuale ma collettiva. Il virus colpisce nel mucchio, in una comunità planetaria. La sensazione di essere oggetti indiscriminati e vulnerabili ci riporta indietro ad un dato di natura, forse rimosso nella nostra cultura occidentale. E cioè il fatto che non siamo onnipotenti, non possiamo determinare completamente in modo autonomo i nostri destini. E oggi ci ritroviamo travolti da qualcosa di poco visibile che ci fa sentire ancora più vulnerabili, come il Coronavirus.

Sì, penso che sia esattamente come dici tu. Questo però è buono nel suo dolore. È vero, questo non voler guardare in faccia la nostra vulnerabilità e la fragilità non era buono per niente neanche prima. Non è che prima non morivamo o non c’erano tragedie. Nel mondo in questo momento stanno morendo ogni giorno di malnutrizione molte più persone di quante non muoiono a causa del coronavirus. Oggi la vulnerabilità umana è reale e noi viviamo insieme collettivamente per cercare di vivere meglio e togliere il dolore, non di sconfiggere la morte. È un momento difficilissimo, ma è anche un grande momento di “back to reality”: torniamo alla realtà e la guardiamo in faccia. L’umanità non è completamente padrona del proprio destino e non può gestire il pianeta, non può gestire la morte e non può gestire un sacco di cose.
Siamo fragili e va bene così. La accettiamo. Questa è una grandissima lezione di umiltà. L’umanità intera soffre di eccesso di arroganza, pensa di poter risolvere tutti i problemi e di fare quello che vuole. Non è così, siamo molto bravi, siamo riusciti ad allungare la vita da 30 anni fino a 80, ma siamo limitatissimi e fragilissimi.

Si paragona spesso questa situazione ad una guerra. Hanno usato questa metafora bellica anche capi di stato e uomini di scienza. Lei cosa ne pensa?

A me non piacciono le metafore belliche, preferirei che venissero usati altri linguaggi e altre metafore, però lo capisco. La guerra, che ha segnato la storia dell’umanità per così tanto tempo e la segna ancora, è uno strano misto di due cose. Da un lato la guerra ci mette uno contro l’altro e fa sì che ci ammazziamo l’un l’altro, ma allo stesso tempo la guerra è anche l’occasione in cui un gruppo collabora intensamente per un fine comune all’interno del gruppo: vincere il nemico.
Nella storia dell’umanità la guerra ha sempre avuto la straordinaria capacità di fare sì che gli uomini collaborino. Ed è strano perché da un lato siamo diventati così capaci di collaborare in gruppi enormi proprio perché ci siamo fatti la guerra l’un l’altro e dall’altro, proprio perché ci siamo fatti la guerra l’un l’altro, non abbiamo collaborato su gruppi ancora più grandi.
Il vero messaggio dietro quelle metafore è che stiamo collaborando e per questo vorrei che quel messaggio si dato in altri termini: nessuno sconfigge il virus da solo, come nessuno fa la medicina da solo. Non lo fa la Lombardia da sola, non lo può fare l’italia da sola e neanche l’Europa da sola.

Questa collaborazione può anche avere un fine importantissimo: andare a conoscere ciò che ancora non si sa di questo virus. La scienza non ha ancora tutte le risposte a questo virus. Il riconoscere questa insufficienza della conoscenza rappresenta una situazione normale o si sta trattando di qualcosa che può aumentare l’inquietudine?

Penso ancora una volta che si tratti di una lezione di verità. Da un lato la situazione attuale rende chiaro a tutti che la scienza non ha tutte le risposte. Non sappiamo cosa succederà, non sappiamo se ci sarà una seconda ondata e non sappiamo neppure se una volta che si è presa la malattia si diventa immuni o no. Non abbiamo un vaccino e forse se ci fossimo mossi prima ci sarebbero già degli studi sui vaccini contro i coronavirus. Il coronavirus è un virus molto comune sul quale però è stato fatto un lavoro minore. La scienza non ha tutte le risposte, ma allo stesso tempo la conoscenza è lo strumento migliore che abbiamo.
Non dimentichiamo che c’erano stati già tanti avvisi da parte di scienziati che invitavano a prepararci all’arrivo delle pandemia. Non è colpa di nessuno, col senno di poi è facile dire che qualcuno lo aveva detto, ma da questo possiamo trarre delle lezioni: in futuro ascoltiamo avvisi simili. I pericoli per l’umanità di cui la scienza ci sta avvisando sono molti. Iniziamo a prepararci meglio.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità aveva messo in guardia due anni fa da una possibile pandemia per un virus. Noi da tempo ascoltiamo la comunità scientifica che ci mette in guardia dai rischi, ad esempio, del surriscaldamento del clima. E anche qui le rappresentazioni di un futuro possibile se non si interviene su questo fronte sono rappresentazioni catastrofiche. Il rischio è che non si sappia ascoltare la scienza. Anche in Italia quanta parte delle decisioni politiche di queste settimane sono state prese in base a quanto ascoltato dalla comunità scientifica. Conte si assume la responsabilità politica di queste scelte che sono basate dai consiglio degli esperti. Forse questa comunità scientifica non è stata ascoltata fino in fondo in passato.

Io penso che i timori per il surriscaldamento del clima non siano esagerati. Anzi, penso che quello sia un problema molto più serio, ed è difficile dirlo in un momento come questo. Questa pandemia ha già ucciso e ucciderà molte persone, ma il problema del riscaldamento globale e in generale delle catastrofi ecologiche che si avvicinano hanno tutta l’aria di essere molto più serie. Non abbiamo certezze, ma se non ascoltiamo che ci dice che c’è un rischio, poi ci troveremo meno in difficoltà.
Non è la scienza a dover decidere cosa facciamo, gli scienziati non possono dirci di stare a casa o non stare a casa. Gli scienziati possono dire che al meglio di quanto sappiamo, se stiamo ancora a casa moriranno meno persone. A questo punto è una decisione politica quella di valutare questo tenendo in considerazioni anche le altre conseguenze come la crisi dell’economia. L’Italia vive sempre coi propri complessi di inferiorità, ma non dimentichiamoci che in questo momento il Mondo intero sta guardando all’Italia con enorme rispetto ed enorme attenzione. Nel mondo occidentale tutti hanno prima criticato l’Italia e poi ne hanno seguito l’esempio. Le difficilissime decisioni dell’Italia sono state una grandissima guida per il Mondo intero.

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