All’inizio furono le scope, nella “notte delle ramazze” bergamasca.
Fu il momento più alto per Roberto Maroni: aveva conquistato la Lega, dopo anni di gavetta, più o meno dorata, all’ombra di Umberto Bossi. Gli scandali legati all’inchiesta “Family”, sulle spese pazze dei parenti del fondatore del Carroccio, misero in un angolo il Senatur, colpito più dalle “birbonate” dei suoi prossimi, parenti e appartenenti al cerchio magico, che dalla malattia.
Qualche mese dopo, era il primo luglio del 2012, il congresso della Lega vide un Umberto Bossi piangente (“piuttosto che vederlo morto lo do a te”, disse tra le lacrime, citando addirittura re Salomone) consegnare il movimento a Bobo. Iniziava l’era delle scope, della pulizia nel partito.
Durata poco, forse niente. Un po’ perché, di parricidio in parricidio, l’irresistibile ascesa di Matteo Salvini alla guida della Lega, ha messo velocemente nel dimenticatoio l’era maroniana, e nell’ultimo periodo le frizioni tra i due sono all’ordine del giorno, in attesa dello scontro finale. Un po’ perché, di scope, nel periodo di governo di Bobo, se ne sono viste poche.
Al di là della facciata, la gestione del potere di Maroni è stata la più tradizionale possibile, con la sistemazione dei suoi uomini (e delle sue donne) più fidati nei posti chiave, altro che pulizie. Le due ex segretarie, Mara Carluccio e Maria Grazia Paturzo, a cui ha trovato consulenze molto ben pagate, (vicenda al centro di un’inchiesta giudiziaria), sono solo la punta dell’iceberg della modalità maroniana del potere.
Che, tra i tanti, è riuscito a piazzare pure i membri della sua storica band, i “Distretto51”: Giovanni Daverio, “Jonny”, è all’assessorato alla famiglia; Giuseppe Rossi è a Lodi, al vertice del locale polo ospedaliero; Simona Paudice, cantante del gruppo, ora “coadiutore amministrativo esperto” all’ospedale di Treviglio, in provincia di Bergamo; infine Ivan Carlo, sassofonista della band, ora primario di cardiologia all’ospedale di Gallarate, in provincia di Varese.