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Antonio La Torre, professione: “redattore” di Studio Olimpico per RadioPop

Marcell Jacobs

Il prof Antonio La Torre, direttore tecnico della nazionale di atletica leggera dei 5 ori a Tokyo 2020, ha un passato a Radio Popolare. Ha commentato con Sergio Ferrentino le gare delle Olimpiadi da Seul 1988 in poi nello “Studio Olimpico” di Radio Pop. Per il libro “Vedi alla voce Radio Popolare” edito da Garzanti, aveva raccontato questa sua esperienza.
Per concludere il racconto olimpico di Tokyo 2020, condividiamo con voi quello che aveva scritto nel 2006. Quando il suo attuale ruolo nella nazionale di atletica leggera non era neanche nei suoi pensieri.

Questo il testo della voce “Antonio La Torre”

Docente universitario e allenatore, tra gli altri, di Ivano Brugnetti, campione olimpico della 20 km di marcia di Atene 2004. Dal 1988 redattore di Studio Olimpico . Attualmente Professore Associato di Metodi e didattiche delle attività sportive presso la Facoltà di scienze motorie dell’Università Statale di Milano.E’ una notte di settembre del 1988. Seul. Sono stufo di ascoltare le “voci” e i commenti dei cronisti RAI sulle Olimpiadi. Decido di “spegnere” le voci, accontentarmi delle immagini, il commento me lo sarei fatto da me, accompagnato dal sottofondo musicale di Radio Popolare. Irrompe invece la voce di Sergio Ferrentino che, complice una bellissima sigla di Joe Jackson, lancia appelli accorati in cerca di “qualcuno” che capisca qualcosa di Atletica e sia disposto a spiegarlo in onda, soprattutto che tenga compagnia, assieme a lui, agli ascoltatori insonni di RP.

Sono sorpreso, anzi sorpresissimo: “Le Olimpiadi in diretta a RP? Roba da non credere… alle proprie orecchie…” (scoprirò solo più avanti che già quattro anni prima, l’insonne Sergio, aveva passato quindici notti davanti al mixer a commentare le immagini delle Olimpiadi di Los Angeles).
Ascolto ma non cedo, finché la voce di Sergio si fa sempre più disperata.
Chiamo, commento, spiego, mi “tradisco”.
L’uomo al mixer da bravo “pescatore” tira l’amo, piano piano.
Una notte di telefonate; il dialogo sempre più diretto, la bolletta dell’allora SIP (la Telecom di oggi, per capirci) sempre più cara e la ciliegina finale, attorno alle sei del mattino: “Perché non vieni direttamente in studio? Così non spendi… giusto qualche volta… noooo, non tutte le notti…”.
Comincia così un’avventura che presto si trasforma in una sorta di “viaggio” nello sport moderno, attraversando tutto ciò che sta al di fuori del calcio.
La notte della “svolta” fu quella dove la favola dell’ex-giamaicano povero, naturalizzato canadese, diventato l’uomo più veloce del mondo, si svelò per quel che era: una truffa, un grande imbroglio.
Ben Johnson non era il sottoproletario che riscatta gli oppressi della terra (come l’allora Gialappa’s coi pantaloni ancora corti ingenuamente sperava e tifava) ma un dopato, cioè un drogato coi peggiori intrugli chimici, imbottito di porcherie più di un cavallo, grazie alle quali era diventato l’uomo più veloce della terra.

Al diavolo il commento delle gare, circa 100 telefonate in una notte, per riprendersi dallo “choc”, per capire (controinformazione si sarebbe detto allora). Risposte schiette, rigore scientifico per non buttare via il bambino insieme all’acqua sporca. Risposte poco consolatorie a volte, ma senza arrendersi a quelli comodamente rimasti attestati allo slogan “sport oppio dei popoli”.
Da allora negli intervalli quadriennali, tra un’Olimpiade e l’altra, diversi  microfoni aperti (spesso sul tema del doping), interventi nei gr sempre cercando di andare “oltre” il pignolo resoconto delle cifre, delle misure, delle prestazioni. Abbiamo cercato di raccontare “storie” di sport, mettendo in risalto il lato umano o alcuni aspetti paradossali, cercando sempre un punto d’equilibrio tra la competenza e la “leggerezza”, tra il rispetto e l’ironia.
Un viaggio tra le “emozioni” che lo sport può regalare e tra le “rimozioni” di una sinistra che ha pian piano smesso di nascondere “la Gazzetta dello Sport” nella mazzetta dei giornali.
Viaggio nelle pieghe spesso complicate e complesse degli aspetti tecnici, senza mai smarrire gli interlocutori all’ascolto, cercando di farsi capire attraverso il giochino del cosiddetto “esperto” alle prese con le domande “strampalate” del conduttore o delle telefonate degli ascoltatori.

Viaggio alla ricerca di un linguaggio accessibile, dritti al cuore del problema, fornendo comunque cifre precise, tempi, nomi. Era difficile allora “scherzare” sullo Sport, soprattutto andare a svelare i “retroscena” di alcune presunte grandi imprese sportive. Si dovrebbe scrivere del “fornaio-che-preparava-pizzette-che-ci-arrivavano-in-studio-calde-portateci-dal-tassista-che-rientrava-verso-casa-alla-fine-del-turno-di-notte”. Era quello il nostro “doping”!
Debbo dire che mi sono divertito un sacco, nonostante spesso sembrava di commentare la “cronaca nera” piuttosto che lo sport, perché abbiamo sempre “giocato” anche con le cose più serie. Penso che nel DNA di Radio Popolare di tutto ciò sia rimasta traccia. In questa sorta di “mappatura del genoma di Radiopop” i cromosomi dell’antidoping dovrebbero essere vivi e vigili, per poter continuare a raccontare di sport seriamente e giocosamente.

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