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Sono 150 anni della Comune di Parigi

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Non più la Repubblica contro la Monarchia, ma il proletariato urbano auto-organizzato contro lo Stato

“La Parigi operaia con la sua Comune sarà celebrata per sempre come il glorioso annuncio di una società nuova. I suoi Martiri saranno iscritti per sempre nel grande cuore della classe operaia”. Cosi scriveva Karl Marx nel 1871, nel suo libro La Guerra Civile in Francia, appena qualche settimana dopo la fine di quello sprazzo di utopia anarco-socialista che furono i settantadue giorni della Comune di Parigi. Stroncata nel sangue dalla repressione dell’esercito regolare (francese) di quello che si configurava per la prima volta in modo inequivocabile come “lo Stato borghese”.

Non più la Repubblica contro la Monarchia, non più i Lumi contro l’Ancien Régime, come nel 1789. Ma, appunto, il proletariato urbano auto-organizzato contro lo Stato, seppur democratico, come organizzazione istituzionale del dominio di classe. Sempre per citare Marx: “La Comune non fu una Rivoluzione per trasferire il potere da una frazione della classe dominante ad un’altra, ma una Rivoluzione per spezzare l’orribile macchina stessa della dominazione di classe”. Per Lenin, che vi consacrò un libro monografico, la Comune di Parigi fu il modello su cui costruire la Rivoluzione bolscevica : le assemblee di quartiere per i soviet e il popolo in armi nei battaglioni operai della Guardia Nazionale per l’Armata Rossa.

Un’ insurrezione troppo breve e troppo violentemente sconfitta per diventare rivoluzione. Un tentativo tanto rocambolesco quanto iperbolico diventato un mito nella tradizione comunista del ventesimo secolo per cui, in certo modo, i Comunardi furono i primi Comunisti all’opera e in armi.

E poi c’è Parigi focolaio di rivolta. Culla e sorgente delle idee rivoluzionarie per tutta l’Europa a partire dalla presa della Bastiglia il 14 luglio 1789 inizio della Rivoluzione Francese e città insurrezionale per tutto in diciannovesimo secolo. Un secolo di rivolte che hanno forgiato un identità nuova alla città antica facendone un mito e un miraggio per i ribelli di ogni tempo e di ogni luogo. É a Parigi, tra i Sans-culottes del 1789 e i Comunardi del 1871, che si disegna l’apparizione del nuovo soggetto politico della modernità : quello che si chiamerà, in senso lato, il Movimento Operaio.

Una città in cui la lotta di classe si dispiega e s’incarna anche geograficamente. Con i quartieri ricchi a Occidente e i quartieri operai all’est sottovento per non disturbare con gli odori delle fabbriche l’olfatto sensibile dei piû abbienti. Une città riottosa, in cui il conflitto é energia urbana, almeno fino alla fine del ventesimo secolo con le barricate nel ‘68 e gli scioperi oceanici nel ‘95.Oggi quell’anima sembra estinta. Forse nascosta come un fiume carsico, per i piû ottimisti. Ma l’economia politica non perdona. Ormai i quartieri popolari sono rari. Sparuti isolotti nella marea montante della gentrificazione. À Montmartre e a Belleville, nel 1871 ultimi bastioni della Comune a cadere, oggi il prezzo dell’immobiliare varia tra 10 e 12 mila euro al metro quadro. Parigi é sempre piû una città patrimoniale nel senso culturale del termine : grandi musei, grandi monumenti, grandi teatri. E in quello finanziario : grandi fortune, grandi investimenti, grandi rendite.

Non à caso le ultime due contestazioni radicali in Francia sono venute nel 2005 dalla periferia con la rivolta delle Banlieues e nel 2018 dalla provincia con i Gilet Gialli.

La storia delle donne della Comune di Parigi

L’11 aprile 1871, meno di un mese dopo la dichiarazione di nascita ufficiale della Comune de Parigi è nata l’Unione delle donne per la difesa di Parigi e le cure ai feriti. É la materializzazione, per cosi dire istituzionale, della presenza massiccia e del ruolo attivo e belligerante delle donne nella rivolta. Nel primo volantino pubblicato e diffuso nelle strade e sui muri della città dall’ Unione delle Donne è scritto, tra l’altro: “Ogni disuguaglianza e ogni antagonismo tra i sessi costituisce una delle basi del potere delle classi dominanti – e di seguito – i nostri nemici sono i privilegiati dell’ ordine sociale attuale. Tutti quelli che hanno vissuto del nostro sudore e si sono ingrassati delle nostre miserie”. Il titolo del volantino é inequivocabile: “La lotta per la difesa della Comune é la lotta per i diritti delle donne”. E in effetti le donne sono ovunque. Nelle cooperative per le cure e l’assistenza dei più poveri, nelle infermerie e negli ospedali, ma anche nei comitati di quartiere, nelle redazioni de giornali della Comune. E soprattutto sulle barricate, armi a la mano, spesso auto organizzate in battaglioni che aderiscono all’esercito popolare della Guardia Nazionale.

Sono soprattutto operaie del tessile e della tipografia, ma anche lavandaie, cameriere e non poche prostitute. Tra le più attive le maestre di scuola e le prime, rare, giornaliste. Tanto attive, determinate e bellicose da impressionare i corrispondenti dell’epoca. L’inviato a Parigi del quotidiano inglese Times scrive nell’aprile 1871, parlando delle donne della Comune: “Se la nazione francese fosse composta solo da donne, che terribile nazione sarebbe”. E il giorno del primo vagito della Comune di Parigi: il 18 marzo 1871, data del primo scontro tra i comunardi e le truppe dell’esercito regolare francese, é, tra gli altri, una donna, quella che diventerà la più celebre ed emblematica delle comunarde, Louise Michel a guidare gli insorti sulla collina di Montmarte, per impedire all’esercito di recuperare i cannoni requisiti dal popolo in armi.

Non a caso sul manifesto ufficiale per le celebrazioni di questo centocinquantesimo anniversario é la foto di Louise Michel ha incarnare la Comune di Parigi. Maestra di scuola, poetessa, scrittrice e ancor più militante anarchica e socialista fino a combattere sulle barricate con l’uniforme della guardia nazionale. Di volta in volta soprannominata la Vergine Rossa o La Giovanna d’arco con la bandiera nera, quella degli anarchici, Louise Michel é diventata, nella tradizione della gauche, l’egemonia indiscussa della Comune di Parigi.

Per il suo coraggio e la sua determinazione tanto fisica che intellettuale capace, durante il processo che la condannerà all’esilio in Nuova Caledonia, di trasformare il banco degli imputati in tribuna politica fino a reclamare la propria fucilazione, come per i suoi compagni di lotta uomini, causando il grande imbarazzo dei giudici che temono l’effetto nefasto dell’esecuzione di una donna. Victor Hugo, di cui fu amica personale e sodale politica, le dedicherà un poema, al momento della condanna all’esilio, dal titolo, per cosi dire profetico, VIRO MAJOR tradotto “Più che un uomo”. Nel quale scrive: “Quando ti domandarono da dove vieni? Tu rispondesti: Vengo dalla notte dove si soffre”.

L’esperienza del primo governo della classe operaia nella storia

Scrive questa settimana il quotidiano, fu comunista, L’Humanité, fondato da Jean Jaurès nel 1904, nel suo editoriale sui 150 anni della Comune di Parigi : “Dal 1871 la Comune scatena le passioni e gli odi. Odi di classe perché in fondo, senza angelismo ne idealizzazioni, questa rivoluzione stroncata portava l’ambizione di una vera repubblica sociale e democratica. Una repubblica pensata dal popolo per il popolo. La scuola laica e gratuita, i diritti delle donne e l’uguaglianza salariale, la separazione della chiesa e dello stato, la moratoria sugli affitti e sui debiti, il diritto del suolo assoluto con la cittadinanza per tutti gli stranieri residenti e la proprietà dei mezzi di produzione per le cooperative di lavoratori”. E l’editoriale conclude: “In quella Parigi assediata e affamata si metteva in cantiere la libertà, l’uguaglianza e la fraternità”.

Liberté Egalité Fraternité: la divisa della rivoluzione francese del 1789 e da più di due secoli della Repubblica. É a partire da lì che si può tentare di decifrare l’esperienza che Marx, contemporaneo della Comune, definì come “il primo governo della classe operaia nella storia”. La Comune fu troppo breve, troppo spontanea, troppo belligerante e per certi versi troppo accidentale per servire da modello storico o da base teorica in economia politica. Ma si può pensarla come un’ intuizione folgorante, come un lampo di lucidità, come un’invocazione tuonante, appunto sull’articolazione possibile e necessaria tra libertà, uguaglianza e fraternità. L’intuizione che la libertà non è vera libertà se non è per tutti e tra uguali. Che certe libertà sono intangibili come quella di andare e venire, di credere o di pensare, ma che altre sono da socializzare; come la libertà di intraprendere perché non diventi libertà di sfruttare o di opprimere. O come la libertà di vendere é comprare perché non diventi la libertà di fare commercio di esseri umani, che si chiami tratta degli schiavi o prostituzione. L’intuizione dunque che la libertà conta soprattutto per quel che se ne vuole fare.

O ancora la lucidità di comprendere che l’uguaglianza solo formale dei diritti civili o solo costituzionale davanti al legge e del “un uomo un voto” non basta a fare comunità. Che il legame tra concittadini non é istituzionale, ma politico. Che la democrazia rappresentativa pone il problema della delega mentre la democrazia diretta, quella della Comune appunto, esige dal cittadino presenza, impegno, energia e implicazione. Che, insomma, perché la Repubblica sia davvero democratica deve concernere tutti i cittadini ogni giorno. E che infine perché la libertà sia condivisa e feconda e non quella del più forte e perché l’uguaglianza sia attiva ed emancipatrice e non il semplice “ognuno per sé e lo stato per tutti”. La sola soluzione possibile é appunto la fraternità degli uomini é delle donne liberi e uguali. Individui certo, ma fratelli nelle condizioni materiali, nel lavoro e nella pratica politica.

E non è un caso che le effimere organizzazioni e strutture sociali inventate dalla Comune siano tutte o quasi all’insegna della fraternità. Le cooperative, i collettivi, le società di mutuo soccorso, tutto un florilegio di associazioni dei lavoratori, unioni di cittadini, comitati di quartiere, impegnati in un qualche aspetto del bene comune. Fino alla fratellanza suprema, quella del popolo in armi sulle barricate. Allora sì! Anche se effimera e sconfitta nel sangue, la Comune fu un’intuizione e un’utopia di quello che un buon religioso chiamerebbe “il regno degli umili” e un buon repubblicano chiamerebbe “il governo del popolo per il popolo”.

I tre simboli della comune: Internazionale, Arthur Rimbaud e la basilica del Sacré coeur )

“Debout les damnés de la terre, debout les forçats de la faim …”. “In piedi i dannati della terra, in piedi i forzati della fame. La ragione tuona nel cratere, é l’eruzione finale. Del passato facciamo tavola rasa…”. Sono i primi versi dell’ Internazionale. Parole brucianti, radicali, inappellabili. I dannati e gli affamati che si sollevano, la ragione tuonante che dice che gli uomini son tutti uguali. E l’ eruzione finale rivoluzionaria che spazza via il passato e le sue gerarchie.

Parole scritte per celebrare la Comune di Parigi, durante la Comune di Parigi da un comunardo soldato della Guardia Nazionale ( l’esercito popolare) e sindaco di quartiere durante i 72 giorni della Comune. Eugène Pottier, allora cinquantenne, che compone il poema in clandestinità, mentre la repressione dell’esercito regolare francese sta stroncando la rivolta in quella che sarà poi chiamata la “Semaine sanglante” la settimana di sangue. Quando sono trucidati spesso sommariamente per famiglie intere più di ventimila comunardi.
Prima di diventare, nei decenni successivi, l’inno mondialmente condiviso di quello che si chiamava il Movimento Operaio, l’Internazionale è il canto rivoluzionario della Comune. É la sua breve e folgorante epopea.

La Comune di Parigi è stata una meteora, un lampo accecante di lucidità e modernità nel segno dell’uguaglianza assoluta e radicale. Dall’ esproprio delle ricchezze a l’uguaglianza tra i sessi passando per una laicità volentieri anticlericale. Un’ eruzione appunto. Diventata, l’abbiamo già detto, una sorta d’aurora emblematica del Comunismo a venire. Ma la Comune ha perso. E anche per questo è diventata un mito intangibile, i cui peccati sono stati tutti lavati nel bagno di sangue della repressione.

E come scrive il poeta Arthur Rimbaud, anche lui comunardo, in un celebre poema scritto appena qualche giorno dopo la sconfitta della Comune : “Tutto è ristabilito …” e i borghesi hanno ripreso i loro turpi affari nella città insanguinata. E di quella sconfitta o piuttosto della vittoria dello stato e dei suoi soldati e dei suoi chierici, c’ è un simbolo concreto, visibile e celebre nel mondo interro per tutte le cartoline di Parigi: la chiesa del Sacro Cuore. La basilica bianca che domina Parigi proprio dalla collina di Montmartre. Costruita, in senso proprio come figurato, sui morti della Comune di Parigi di cui Montmartre fu un bastione famigerato. Voluta dal governo e dalla chiesa francese come simbolo della vittoria dell’ordine sulla rivolta. Per essere il punto più alto della capitale e dominare una volta per tutte la città ribelle.

Foto | L’Hôtel de Ville, sede del Comitato centrale della Guardia nazionale e poi del Consiglio della Comune

  • Autore articolo
    Francesco Giorgini
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