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L’Egitto tortura. Grazie ad armi europee

Le armi con cui le forze di polizia fanno sparire attivisti e dissidenti in Egitto provengono da Paesi dell’Unione europea. Solo nel 2014, i Paesi membri dell’Ue hanno concesso 290 autorizzazioni per esportare forniture militari al Cairo. La denuncia è di Amnesty International, secondo cui nonostante la sospensione dell’export di armi nel 2013, ci sono ancora 13 Stati su 28 che vendono all’Egitto. Uccisioni illegali, sparizioni, torture: per perpetrare queste violenze si utilizzano armamenti made in Europe.

“Quasi tre anni dopo il massacro che spinse l’Unione europea a chiedere agli Stati membri di sospendere i trasferimenti di armi all’Egitto, la situazione dei diritti umani nel Paese è peggiorata”, ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice ad interim del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. “Gli Stati membri dell’Unione europea che trasferiscono armi ed equipaggiamento di polizia alle forze egiziane, responsabili di sparizioni forzate, torture e arresti arbitrari di massa, stanno agendo in modo sconsiderato e rischiano di rendersi complici di queste gravi violazioni dei diritti umani”, ha aggiunto Mughrabi.

L’Italia è tra i Paesi più coinvolti. Il rapporto annuale dell’Unione europea evidenzia che nel 2014 Roma ha autorizzato 21 invii di attrezzature militari, per un valore totale di 33,9 milioni di euro, di cui circa la metà per armi leggere. L’anno successivo l’Italia ha spedito, scrive Amnesty, “3.661 fucili e accessori per un valore di oltre 4 milioni di euro; 66 pistole o rivoltelle del valore di 26.520 euro insieme a 965.557 euro di parti ed accessori per pistole e revolver. Nel 2016, l’Italia ha già registrato l’esportazione di 73.391 euro di esportazioni di pistole e revolver all’Egitto”.

Secondo l’Ong inglese Privacy International, l’azienda italiana Hacking team, famosa per lo scandalo delle tecnologie di spionaggio vendute non sempre in modo trasparente a Paesi con un regime dittatoriale, ha fornito ai servizi segreti egiziani sofisticate tecnologie di sorveglianza. L’azienda si è difesa sostenendo che il trasferimento era stato autorizzato dal governo italiano. E la notizia è filtrata solo nel momento in cui l’Italia ha annunciato la sospensione delle autorizzazioni per quel tipo di software.

Dopo il colpo di Stato del 3 luglio 2013, il generale Abd al-Fattah al Sisi ha imposto un giro di vite contro chi manifesta. Nell’agosto 2015 con la nuova legge antiterrorismo, secondo Amnesty, l’Egitto ha di fatto autorizzato l’uso della violenza contro gli oppositori politici. Le prime vittime del nuovo assetto legislativo egiziano si sono già viste nel gennaio del 2015, quando sono stati uccisi 27 attivisti. Insieme alle uccisioni sono aumentati anche gli arresti: 12 mila nei prima 10 mesi del 2015. Nel 2016, in occasione del quinto anniversario delle manifestazioni di piazza Tahrir, cinquemila abitazioni sono state perquisite. E migliaia di persone sono scomparse. Per molti di loro il destino è stato lo stesso del ricercatore italiano Giulio Regeni, brutalmente ucciso probabilmente da forze dell’ordine egiziane.

Amnesty International chiede che l’Unione europea imponga un embargo vincolante a tutti i Paesi membri: la vendita di armi all’Egitto deve essere vietata. Altrimenti si sarà complici di violazioni dei diritti umani. A questo Amnesty chiede di aggiungere la “presunzione di diniego”, un ulteriore strumento per fermare le esportazioni di armi. Entrambi i provvedimenti vanno mantenuti sino a quando le autorità egiziane non potranno garantire “indagini approfondite, rapide, imparziali e indipendenti”. La strada, però, è ancora lunga.

  • Autore articolo
    Lorenzo Bagnoli
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