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Allerta rossa per il cambiamento climatico

Acqua Alta

È allerta rossa per il cambiamento climatico. Qualche esagerato sta in spiaggia col costume da bagno. Il 25 novembre, dopo settimane di pioggia, Nervi è inondata dal sole con l’aria calda come un giorno di prima estate. Ma non è necessariamente una buona notizia che si possa andare a passeggio in pieno inverno con la maglietta e le braghe corte.

Siamo nel tempo del cambiamento climatico sub specie di riscaldamento globale arrivato al galoppo, quando le previsioni, persino le più pessimistiche, lo davano al trotto. Il caldo inusuale continua, i termosifoni sono spenti, la gente gira in giacca. In attesa della prossima tempesta, o mareggiata, o pioggia battente, a secchiate, fitta e regolare, fine e pungente, con gocce a grappolo o rade, ce n’è per tutti i gusti. Mentre avanzano le frane, solo a Genova se ne contano una trentina.

In tutta la Liguria le frane potenziali sarebbero quindicimila, numero apocalittico. Da prendere sul serio perchè le montagne liguri stanno lì appese, che sembra non aspettino altro per scivolare o precipitarsi in mare, e ogni tanto, anche senza essere battute da piogge continue, se ne stacca un pezzo.

Se in basso piove, tanto per non farci mancare niente, in alto nevica. In modo forte e intenso, così i rami degli alberi prima si piegano poi si spezzano. Non uno ogni tanto, ma parecchi.

Gli alberi, complice un’estate durata molto, hanno ancora le foglie. Questo crea una situazione di appesantimento quando arrivano le fitte nevicate.

Ecco il riscaldamento globale raccontato dagli alberi schiantati con le parole di Daniele Segale, presidente del Parco Naturale Regionale dell’Antola. Rincara la dose Marco Corzetta, agronomo sul Secolo XIX, giornale di Genova:

È un fenomeno (quello degli alberi che si spezzano) che si collega direttamente ai cambiamenti climatici. Quando l’estate arriva in ritardo e si protrae nel tempo, gli alberi finiscono per saltare quasi completamente la pausa biologica. In pratica scambiano l’autunno con la primavera, situazioni di luce e di temperatura simili. Non perdono la vegetazione e in queste settimane addirittura fioriscono e in qualche caso danno frutti.

Devastati poi dall’arrivo del gelo. Così il ciclo biologico dell’albero impazzisce, rendendolo più debole e fragile.

Crollano o barcollano e non sono comunque percorribili i viadotti, ben otto a rischio certificato. Lungo quello ferroviario dietro casa, non classificato a rischio, il treno rallenta fin quasi a fermarsi, indi procede a passo d’uomo, ogni tipo di treno dal merci all’IC, perchè la prudenza non è mai troppa.

Senza viadotti in Liguria non c’è mobilità possibile. La magistratura ha chiuso d’imperio due bretelle autostradali, lasciando in attività l’autostrada tra Genova e Milano, che si è immediatamente trasformata in un enorme ingorgo, con venti km di coda. Praticamente sono aperte solo strade provinciali e comunali, impervie quanto mai. Così il porto di Genova è a rischio chiusura, nel senso che le merci s’accatastano nei magazzini e sulle banchine perchè i TIR non possono viaggiare, o sono molto lenti nel dedalo di strade dove s’ingolfa tanto il traffico cittadino che quello a lunga percorrenza. Un incubo per una città che del porto vive e sopravvive.

A Genova il Comune tenta di ovviare ai disagi con i trasporti pubblici potenziati e gratuiti, però la circolazione è quasi bloccata. Insomma la mobilità è lenta, piena d’ingorghi, faticosa.

Ma la stupidità umana indotta dalle leggi dell’accumulazione di capitale e del massimo profitto non arretra. Infatti nello stesso porto di cui dicevamo, è entrata l’ammiraglia della flotta di MSC Crociere, la “Grandiosa”, così battezzata con sprezzo del ridicolo. Un mostro di stazza 181 mila tonnellate, lungo 331 metri e largo 43, con 19 ponti, ovvero alta più di 40 metri sul livello del mare, che imbarca fino a seimilatrecento passeggeri, con un equipaggio di 1704 membri, sbandierata come nave “green”.

Chissà se qualcuno si è chiesto quanta CO2, e altri gas serra, la “Grandiosa” immette nell’atmosfera. Per l’intanto siccome il suo pescaggio è a filo, bisogna dragare i fondali per aumentare la capacità di ricezione del porto. Il che accentua inevitabilmente il moto ondoso e le grandi onde in caso di mareggiate, tutt’altro che improbabili.

Nei quindici giorni di pioggia che hanno preceduto la tregua attuale, ho fatto la spola tra Bologna, Milano, Genova, e ritorno inseguito da una allerta rossa dopo l’altra. È sempre il cambiamento climatico che impazza, e questa pioggia – mi dico – potrebbe durare oltre i 40 giorni e notti del diluvio universale raccontato nella Bibbia, quando Dio furioso annuncia: di qui a sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti: sterminerò dalla faccia della terra tutti gli esseri viventi che ho fatto.

Oggi più laicamente c’è chi come lo scrittore Tullio Avoledo ci dice dalle pagine di Repubblica:

I cambiamenti climatici (..) sono segnali di un’Apocalisse di cui siamo coscienti ma che non abbiamo nè la capacità nè la volontà di evitare. (..) La rivolta della Natura e la crudeltà umana sembrano andare ormai di pari passo.(..) Nel 2015 la maison Taittinger per affrontare le minacce del cambiamento climatico, ha comprato 69 ettari di terreno in Inghilterra, nel Kent. Il presidente della casa vinicola ha dichiarato che il cambiamento climatico è come la terza guerra mondiale, un’emergenza assoluta, ma che l’aspettativa è di creare nel Kent uno spumante di grande qualità che non sia paragonabile con qualsiasi altra bollicina al mondo. Come dire: mentre il Titanic affonda beviamo il migliore champagne mai prodotto. Quelli che stanno in prima classe, di cui molti si salveranno, e possono permetterselo. Gli altri confinati nei sottoponti affoghino, senza bollicine.

Mi muovo nonostante le allerte, perchè sia la pioggia frutto del cambiamento climatico oppure dovuta all’incazzatura di un qualche Dio, aspettare non serve a niente. Induce solo depressione e senso di impotenza. Mi muovo tra treni puntualmente in ritardo, qualcuno cancellato, coincidenze che non coincidono, posti prenotati che non esistono più, un paio di volte nemmeno la carrozza esiste più, eppure si viaggia, scoprendo le virtù dei concittadini.

A parte qualcuno, che non manca mai, quasi tutti praticano le virtù della cooperazione e della gentilezza, anche perchè arrabbiarsi non serve e poi contro chi, il padreterno, le nuvole dense, le rotaie bagnate, chi altro? Piove governo ladro nemmeno si può. Palesemente le strategie selfish (egoistiche) non funzionano, e l’uso seppure simulato della forza è un’idiozia. Non salti il tuo posto nella fila se non vuoi incorrere nel vituperio delle genti. Neppure ci provi.

Ci si scambia l’acqua e il panino, ci s’aiuta coi bagagli, si fanno turni per il posto a sedere senza badare troppo a prenotazioni eventuali (salvo sul Milano Genova, dove i posti liberi abbondano. Ogni volta il treno è quasi deserto, persino il capotreno sembra evaporato), si chiacchiera piacevolmente. Ci si presenta compitamente, dandosi la mano e a nessuno esce una parolaccia. So che può parere troppo idillico, ma così ho sperimentato. Con mezz’ora, un’ora, fino a due di ritardo.

In un mondo che sembrava in preda alla frenesia della velocità, la lentezza riprende i suoi diritti.

Le allerte rosse continueranno, sempre più fitte. Bisogna imparare a convivere con le piogge e le acque. Facendo fronte. Non esiste una tecnologia, magari incarnata in una grande opera, che ci metta al riparo (il MOSE insegna, ma ci torneremo discutendo di Venezia). Prima di tutto far fronte attivando la solidarietà e la cooperazione dei/lle cittadini/e. Ovunque, in treno, in stazione, per strada, nel proprio caseggiato (le pratiche di buon vicinato benedette vanno incentivate).

Epperò non basta. Va modellata una protezione civile di massa a partecipazione popolare, dove tutti/e abbiamo le nozioni di base pratiche e teoriche, cominciando dalle scuole di ogni ordine e grado. Ovvero la protezione civile deve diventare materia di studio, di laboratorio, di insegnamento dalle scuole elementari all’università. Si potrebbe anche prevedere un impegno per i giovani diretto e continuativo per sei, otto mesi, come fu a suo tempo la leva obbligatoria, Senza lanciare alti e scomposti lai, che non fu una tragedia fare il soldato per qualche mese. Inutile sì, ma nel caso della protezione civile utile sarebbe assai.

Ultimo ma non ultimo. Prima si chiuderanno i rubinetti delle fonti di energia a dominante petrolifera, e derivati, meglio sarà. La transizione a altre energie meno inquinanti e rinnovabili va assolutamente accelerata. Come accadde durante la seconda guerra mondiale quando le migliori menti tecnico scientifiche furono accorpate nel Progetto Manhattan per costruire l’arma letale, la bomba atomica, contro il male assoluto, il nazismo e Hitler, altrettanto credo bisogni fare oggi, mettendo in piedi una squadra di scienziati di molte discipline, dai fisici teorici ai politologi, che, lavorando insieme a contatto di gomito, assuma il problema del cambiamento climatico come la questione fondamentale per l’umanità oggi. Per evitare un altrimenti probabile, se non certo, olocausto climatico.

  • Autore articolo
    Bruno Giorgini
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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