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Un Nobel che pesa come un macigno

Da anni il massimo riconoscimento mondiale agli sforzi di pace non entrava così nel vivo di una vertenza politica ancora in corso. Il riconoscimento rilasciato al presidente colombiano Juan Manuel Santos, dopo la sua sconfitta nel referendum confermativo degli accordi di pace con le FARC di domenica scorsa, è ancor prima che un premio una scommessa. Una scommessa sulla conclusione comunque del percorso durato quattro anni nel quale si è impegnato uno dei due soci del Primo Nobel, la Norvegia, oltre che Cuba, Venezuela, Cile e gli stessi Stati Uniti. Un percorso che si è interrotto con il referendum perso dal governo per soli 65.000 voti e che ha lasciato la Colombia in uno Stato di incertezza sul da farsi perché non era previsto un Piano B.

Proprio l’altro ieri si erano incontrati il presidente, e ora Nobel, Santos e l’ex presidente Alvaro Uribe, indiscusso vincitore del referendum in quanto unico politico schierato contro gli accordi. Uribe ha sempre dichiarato di non essere contro gli accordi di pace (lui in realtà ha sempre creduto in una definizione militare del conflitto), ma contro “questi” accordi. Cioè contro la leggerezza con la quale, secondo l’ex presidente conservatore, sarebbero stati trattati i massimi leader della guerriglia che avrebbero anzi avuto, la possibilità di diventare parlamentari. Su questi punti ora è in corso una trattativa che non può prescindere ovviamente dal parere delle FARC che si preannuncia negativo sull’irrigidimento della giustizia nei loro confronti. Parallelamente, diversi costituzionalisti stanno studiando le vie alternative che possano percorrersi perché il governo proceda comunque sulla scia degli accordi ignorando il responso negativo del referendum, che era stato imposto dalla Corte Costituzionale. Sono vie molto strette dal punto di vista giuridico e democratico, ma d’altra parte le conseguenze dell’incertezza sulla situazione stanno già pesando sull’economia del paese e, anche se sarebbe la peggiore conclusione, potrebbe addirittura riaprirsi il conflitto armato.

Il Nobel a Santos viene ora gettato in faccia da Stoccolma alle parti in causa in Colombia. Un premio che in qualche modo rappresenta il sentimento della comunità internazionale che in modo massiccio ha sostenuto gli sforzi per porre fine all’ultimo conflitto convenzionale in terre americane. Il Nobel vuol dire che non c’è spazio per tornare a fare parlare le armi e che il sostegno al Presidente Santos è rimasto immutato.

Alvaro Uribe e gli ultras del No, che si sono battuti non per un accordo di pace ma per una resa incondizionata e unilaterale delle FARC, prendano nota: una volta tanto, la comunità internazionale ha scommesso sulla pace in un paese e non intende cambiare idea. Una perla rara nel contesto del grande caos che avvolge altre zone del pianeta, ma forse per questo ancora più preziosa.

  • Autore articolo
    Alfredo Somoza
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    Verso la fine della manifestazione è arrivato Sigfrido Ranucci, quasi emozionato dalla solidarietà che ha trovato in questa piazza, dalla presenza di tante persone in piazza Santi Apostoli “per non farlo sentire solo” dicono i manifestanti con dei cartelli in mano “press” e la scritta “no bavaglio”. E “per proteggerlo” - dicono ancora. Una protezione anche democratica da parte delle persone per il suo lavoro di giornalista. Sul palco per più di un'ora si sono alternate tante voci, si sono sentite altre denunce. A presentare la manifestazione di oggi c'era un giornalista della Rai a cui qualche anno fa da questo Governo è stata tolta la sua trasmissione. Poi il caso delle denunce temerarie e poi l'impossibilità di approvare la Freedom Act. “Una libertà di stampa a rischio” aveva detto Elly Schlein qualche giorno fa, oggi anche lei era in piazza e ha ribadito le sue convinzioni. In piazza Santi Apostoli oltre a tanti giornalisti ci sono tutti i leader della sinistra e tante persone. Anna Bredice ha intervistato Sigfrido Ranucci.

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