
Sono arrivati in dieci, a metà di un pomeriggio di agosto, in visita a Radio Popolare. Giovani, allegri, interessati, tutti africani: ghanesi, nigeriani, eritrei, qualcuno dalla Costa d’Avorio e dalla Sierra Leone. Vivono a Milano, sparpagliati nei centri di prima accoglienza di via Aldini, via Corelli, Cascina Gobba. Si sono conosciuti alla scuola estiva di italiano ospitata dall’oratorio di Santa Maria Beltrade, zona viale Monza. Il più giovane, Moussa, ha 19 anni, gli altri solo qualcuno in più. La radio li affascina: guardano, fotografano, filmano, qualcuno prende appunti. Provano microfoni e cuffie, ridono. Ibrahim, 22 anni, a un tratto si fa serio. Ci pensa un po’ e poi chiede se può registrare una canzone. E’ un appello – dice in inglese – e vorrebbe che lo sentissero in tanti e lo facessero arrivare a tutti gli africani. E’ un appello cantato in modo sommesso ma deciso: africani non partite, africani non andate in Libia. Il viaggio è pericoloso, troppo pericoloso, si rischia di morire. Ibrahim è partito dalla Sierra Leone, via da una situazione politica insopportabile. In Libia è stato costretto per più di un anno, spedito in quattro prigioni diverse. E’ lì, meditando sul mio viaggio, che – spiega -ho pensato alle parole di quella canzone. E adesso che è in una radio ha trovato il modo di farla sentire, sperando che arrivi a tanti che ancora non sono partiti.