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Afghanistan, Talebani e ISIS-K: cosa sta succedendo?

talebani kabul Ansa

Claudio Jampaglia ha intervistato Antonio Giustozzi, professore al King’s College di Londra, ricercatore autonomo presso ISPI e autore di The Taliban at War: 2001 – 2018. Potete riascoltare l’intervista integrale nel podcast della puntata di Prisma di venerdì 27 agosto 2021

Davvero i talebani sono i peggiori nemici di questa ISIS-K? La situazione è così semplice o la lettura dei gruppi, dei movimenti e delle loro consistenze sul territorio è, come sempre, più complicata?

Negli ultimi sei anni, da quando lo stato islamico è arrivato in Afghanistan, i talebani sono stati i loro peggiori nemici. Li hanno combattuti e gli hanno inflitto le perdite più pesanti. Tuttavia all’interno del movimento ci sono diversi gruppi e tendenze. Ci sono quelli che un po’ simpatizzano con lo Stato Islamico, ma soprattutto ci sono i dissidenti, che vedono nell’Isis un’aggregazione che gli può permettere di opporsi più efficacemente alle politiche di leadership che loro giudicano troppo moderate.

All’interno del movimento talebano c’è chi pensa che le relazioni che negli anni sono state stabilite con la Russia siano inaccettabili per un gruppo jihadista. Ovviamente anche l’accordo con gli americani è visto da molti come un grosso errore.
Ci sono anche lotte di potere interne. Qualcuno sospetta che l’attacco di ieri sia stato facilitato da elementi interni che mirano a mandare segnali e screditare la leadership del movimento.

A Kabul la sicurezza talebana sembrerebbe essere gestita dagli haqqani. Questa fazione dei talebani è un buon esempio per capire la complessità di questo movimento?

Sì, sono un buon esempio. Al momento c’è una lotta per il controllo di Kabul tra gli haqqani, che l’hanno conquistata il 15 agosto, e i talebani del sud. La leadership dei talebani è composta quasi totalmente dalla corrente del sud fatta eccezione per il capo degli haqqani che è il vice del leader. I talebani meridionali stanno tentando di prendersi il controllo di Kabul e controbilanciare il potere degli haqqani. Questi ultimi si oppongono, perché per loro controllare Kabul è indispensabile per ottenere posizioni alla guida del movimento. Si sospetta che abbiano collaborato con lo Stato Islamico allo scopo di creare una crisi e mandare un messaggio alla leadership talebana: “se cercate di buttarci fuori destabilizzeremo la città. Senza di noi non potete controllare Kabul”

Le sembra possibile che l’intelligence e la diplomazia americana non fosse preparata a tutto ciò che è successo? Quale idea si è fatto di questa ingenuità/errore/strategia sbagliata?

L’ambiente operativo afghano è molto complesso. Anche per il movimento talebano.
Il loro piano era conquistare Kabul. Era questione di giorni, avevano preso Kandahar e stavano per muovere il grosso delle loro forze verso la capitale. Gli haqqani sono arrivati prima. Il vero problema degli americani non sono stati i talebani, ma i loro partner governativi.
I talebani hanno fatto quello che ci si aspettava. L’amministrazione Ghani, invece, non ha soddisfatto le aspettative. L’esercito è letteralmente collassato. La caduta di Kabul sembra sia stata, in buona parte, una manovra di elementi del governo che non volevano i talebani del sud e preferivano altri Pashtun dell’est. Queste dinamiche tribali e regionali hanno sorpreso sia i Talebani che gli americani e hanno creato questa situazione imprevista in cui gli haqqani controllano la capitale. Ovvero quello che tutti stavano cercando di evitare.

C’è qualcosa che non va nella reazione europea alla situazione afghana?

La guerra è stata persa e ovviamente c’è un prezzo da pagare. Le guerre se si fanno bisogna cercare di vincerle e non abbiamo fatto un gran lavoro a riguardo. Gli americani erano i più coinvolti, ma anche gli altri non possono dire di essere innocenti.
Secondo me, vista la situazione, la cosa più logica da fare è cercare di mettersi d’accordo con la leadership politica talebana che, evidentemente, è più pragmatica e moderata rispetto agli altri. Al contempo bisogna cercare di isolare gli elementi più radicali e estremisti. Se non si evitiamo il collasso dello stato afghano potremmo assistere all’affermazione di un regime violento e repressivo. È  necessario cercare di trovare un modus vivendi con la leadership talebana e stabilizzare la situazione.

Quando in Europa diciamo: “I talebani sono cambiati” ci riferiamo alle regole con cui governano la popolazione. Secondo lei c’è stato questo cambiamento?

Ci sono stati dei cambiamenti a riguardo. La Sharia rimarrà, ma sembra esserci una certa flessibilità nella sua interpretazione. Nonostante questo il loro governo deve basarsi sulla Sharia. Su questo punto stanno insistendo molto. Non c’è stato un cambiamento ideologico, semplicemente i leader sembrano essere un po’ maturati, hanno più esperienza e si rendono conte che non c’è molto sostegno per la visione rigida che avevano negli anni ’90. Non sono più dei Mullah di villaggio, hanno viaggiato, visto, sentito e discusso con tanti diplomatici. Hanno imparato che per sopravvivere in questo mondo devono integrarsi in un sistema internazionale.

  • Autore articolo
    Claudio Jampaglia
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