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Ada Colau. Barcellona, sinistra e democrazia

Milano, Palazzo Reale. Più di cento sindaci provenienti da tutto il mondo sono riuniti nella Sala delle Cariatidi per firmare il Milan Urban Food Policy Pact, una carta delle buone pratiche urbane presentato come il vero lascito di Expo in tema di lotta allo spreco e sostenibilità alimentare. Tra loro c’è anche Ada Colau, da quattro mesi alla guida di Barcellona. Nel maggio scorso ha vinto a sorpresa le elezioni comunali presentandosi con una lista civica sostenuta da Podemos. Oggi tutti vogliono conoscere l’alcaldesa, la sindaca e attivista che viene dalle lotte per il diritto alla casa nella Spagna soffocata dalla crisi. Lei distribuisce sorrisi e strette di mano a tutti ma ci tiene a mettere in chiaro chi è e da dove viene.

Per farlo, Ada Colau apre il suo intervento con una critica al Ttip, il “Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti”, in via di definizione, a porte molto chiuse, tra Stati Uniti e Unione Europea. “La sfida è proprio lanciare messaggi concreti e politici in contesti come questo”, spiega in perfetto italiano. “Il fallimento sarebbe proprio venire qui, fare una comparsata e poi andarsene sapendo di non aver parlato delle cose importanti, come per esempio la denuncia del Ttip. A Barcellona abbiamo già approvato una mozione: per noi è chiarissimo che iniziative di questo tipo, che puntano a liberalizzare e dare ancora più potere ai mercati e alle grandi aziende, sono contrarie ai diritti umani, una priorità per il nostro governo cittadino”. Ada Colau è alla guida della città da quattro mesi. La prima domanda della nostra intervista è, dunque, la più naturale: “Come va?” Lei risponde: “Intensamente” ed elenca tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare in questi quattro mesi di governo.

Ada Colau: i miei primi quattro mesi

Mentre Ada Colau parla, gli ospiti internazionali lasciano Palazzo Reale e  i commessi vanno avanti indietro rassettando e raccogliendo cartelle stampa abbandonate. La sindaca parla delle misure di emergenza di lotta alla povertà e all’emarginazione. Gli alleati più preziosi in questo periodo di insediamento, dice, “sono stati i funzionari del comune, contenti di essere finalmente considerati attori politici nelle decisioni che riguardano la città. Sono persone di grande esperienza e con un profondo senso del servizio pubblico, non so come avremmo fatto senza di loro”. E poi c’è la cittadinanza, tanto importante per una sindaca che ha fatto della partecipazione civica una bandiera.

Ada Colau: la partecipazione civile

Naturalmente, tra gli argomenti di cui parliamo con la Colau non mancano la Catalogna e la questione dell’indipendenza. Il presidente catalano Artur Mas, vincitore delle elezioni regionali del 27 settembre scorso, ha promesso di portare la regione all’indipendenza entro il 2017, con o senza l’assenso di Madrid. Il giorno in cui abbiamo realizzato l’intervista Artur Mas era davanti a un giudice del Tribunale superiore di giustizia per rispondere dell’accusa di disobbedienza civile. Sulla questione catalana la posizione di Podemos, il principale partito che ha sostenuto la candidatura della Colau,  può apparire contradditoria: chiede che si tenga finalmente un referendum vincolante, per lasciare ai catalani la possibilità di scegliere, ma non è apertamente schierato per il sì all’indipendenza. Ada Colau ha sempre difeso questa posizione.

Ada Colau: l’indipendenza catalana

La sindaca di Barcellona non ha paura di dire che sogna una Spagna diversa. E che si sente parte di un cambiamento che sta avvenendo. Chiede di Milano, del sindaco Pisapia e di chi prenderà il suo posto tra qualche mese. Si informa della”primavera arancione” e delle primarie ancora in forse; dei candidati della società civile che, al momento, non ci sono. Alla domanda: “Come avete fatto voi, con tutti i grandi partiti contro e con la paura della crisi a farcela?”, Ada Colau racconta quanto lavoro ci sia dietro a una vittoria, per tutti gli altri, inaspettata: il lavoro nei quartieri, il movimento degli indignados, poi la vittoria schiacciante del partito popolare e il bisogno, per tanti, di mettersi finalmente in gioco, anche dal punto di vista elettorale.

Ada Colau: come abbiamo vinto

Interessante è anche il discorso che Ada Colau fa sulla relazione con i partiti della sinistra tradizionale. “Non è del tutto vero che non hanno contribuito alla vittoria della nostra lista”, spiega, “anzi: molte persone con quella provenienza hanno capito che le forme tradizionali non erano più efficaci e hanno aiutato il nostro progetto. Semplicemente hanno avuto l’umiltà di fare un passo indietro”

Ada Colau: la sinistra tradizionale

Quando ci salutiamo inizia a fare buio. Nelle sale di Palazzo Reale non c’è ormai quasi più nessuno. Una ragazza, che ha ascoltato l’intervista a qualche metro di distanza e poi si è avvicinata e seduta, si avvicina.  “Buonasera, volevo ringraziarla – dice – lei è fonte di grande ispirazione per me. Sono la sindaca di Molfetta”. Allo sguardo interrogativo di Ada Colau risponde con le coordinate: “Molfetta è in Puglia, dove c’era Vendola, si ricorda?”.

  • Autore articolo
    Diana Santini
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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