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Ad Hong Kong è il 2047: l’ex colonia britannica è ormai una città cinese

Hong Kong

La leader di Hong Kong Carrie Lam ha annunciato che il suo governo aggiungerà nuovi reati a quelli già previsti dalla legge sulla sicurezza nazionale voluta dalla Cina. L’ha detto presiedendo la prima sessione del Consiglio legislativo rinnovato a dicembre sotto la legge del voto per i “soli patrioti” e quindi, di fatto, senza opposizione né rappresentanti del movimento pro democrazia.

Sostanzialmente, Hong Kong avrà una sua legge sulla sicurezza nazionale, che si aggiungerà a quella imposta direttamente da Pechino in vigore da luglio 2020. I reati previsti da quest’ultima sono quattro: secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze straniere. Lam non ha specificato quali saranno i nuovi reati, ma in realtà importa poco. Da quando è entrata in vigore, la legge sulla sicurezza nazionale è stata utilizzata per arrestare più di 150 persone, soprattutto giornalisti e oppositori politici.

Migliaia di attivisti sono stati presi di mira e costretti all’esilio. Sempre utilizzando questa legge, ormai quasi tutti i media indipendenti dell’ex colonia britannica sono stati chiusi o hanno deciso di chiudere per paura di essere arrestati. Daisy Li, la direttrice del Citizen News, uno dei giornali costretto a chiudere negli ultimi tempi, ha detto che ormai nessuno è più in grado di stabilire con certezza che cosa viola la legge sulla sicurezza e cosa no. Ecco perché non è nemmeno più così importante capire quali reati saranno introdotti nello specifico. Quello che importa è cosa significa quest’implementazione della legge. Significa che questi reati, insieme ai tribunali speciali creati ad hoc che assicurano che la legge venga interpretata in modo gradito al governo, ridurranno ulteriormente la possibilità di una qualunque forma di dissenso.

Se a questo aggiungiamo la sopra citata legge che impone candidati patrioti per il parlamentino locale (che ha quindi eliminato l’opposizione) e la sistematica rimozione dei simboli di libertà e democrazia che hanno sempre caratterizzato la città (come la statua in memoria del massacro di Tienanmen, la “Colonna della vergogna”), trarre conclusioni è semplice: Hong Kong è, a tutti gli effetti, una città cinese. E lo è diventata ben prima del tempo, ben prima della fine dei 50 anni di autonomia promessi dalla Cina quando il Regno Unito ha riconsegnato l’ex colonia a Pechino. È appena iniziato il 2022, ma ad Hong Kong è già il 2047.

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    Martina Stefanoni
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