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A rischio habitat e specie protette

500mila e 325 firme per salvaguardare la natura. Tante sono quelle consegnate alla Commissione europea da un centinaio di associazioni ambientaliste europee, al termine di una campagna durata sei mesi.

Le associazioni chiedono che le direttive europee a tutela di ambiente e animali non siano annacquate e per questo hanno lanciato l’operazione “Nature Alert” (Allarme natura). Oggi il 18% del territorio europeo (1 milione di chilometri quadrati) e il 4% dei siti marini (250mila chilometri quadrati) fanno parte di Natura 2000, la rete di aree protette più grande al mondo.

Il fatto è che Bruxelles sta rivendendo la attuale normativa – molto stringente – e il timore è che ci siano pesanti cedimenti alle lobby industriali, tali da mettere in pericolo la tutela dell’ambiente. Le leggi attuali, dunque, potrebbero essere modificate in senso più lassista.

C’è chi vuole indurre le istituzioni europee – è la denuncia – a rivedere in particolare due direttive: le Direttive “Habitat” e “Uccelli” e il rischio è che vengano introdotte deroghe e scappatoie per chi inquina. Le  norme europee sulla Natura, infatti, sono una barriera alla perdita della biodiversità: il 60% degli animali e delle piante europee e il 77% degli habitat sono ancora oggi in pericolo. Secondo le associazioni ambientaliste, il processo di valutazione delle attuali normative si tiene in un clima ostile alla conservazione della natura e che rischia di cancellare decenni di progresso nella protezione dell’ambiente. Le due direttive in esame infatti sono riconosciute come tra le più rigorose leggi al mondo per la difesa di animali selvatici, piante e habitat naturali dall’estinzione.

Grazie a queste normative, l’Europa ha oggi il più grande network al mondo di aree protette: la rete Natura 2000, che copre circa il 20% del territorio europeo e il 4% dei suoi siti marini. Ma la crisi economica ha cambiato l’ordine delle priorità: in questo momento la spinta perché vengano introdotte norme meno vincolanti, in nome di una maggiore spinta all’attività industriale. Il conflitto fra questi due interessi rischia dunque di spostare il baricentro verso un maggior lassismo.

Parte del processo di revisione delle direttive è la consultazione pubblica in cui la Commissione europea chiede l’opinione dei cittadini. E qui entra in gioco la campagna “Nature Alert”. All’iniziativa partecipano Birdlife Europa (Lipu in Italia), Wwf, European Environmental Bureau e Friends of Earth Europe. “Abbiamo una grande mole di evidenze scientifiche – ha dichiarato Angelo Caserta direttore di BirdLife Europa – che mostrano come queste direttive quando implementate funzionano; e molti esempi dimostrano che non ostacolano lo sviluppo economico”. Secondo Jeremy Wates, segretario generale di EEB, “la Commissione e gli stati membri dovrebbero applicare le attuali normative, invece di impegnarsi nel disfarle”.

La Commissione europea ha preso atto della forte richiesta arrivata dalla petizione presentata oggi. E si è data da fare per rassicurare gli ambientalisti sulla bontà della revisione, che non porterebbe a un indebolimento delle tutele ambientali. E così ha fatto la presidenza lussemburghese del Consiglio europeo. “Il grande coinvolgimento dei cittadini mostra che la natura è importante per la società civile e non possiamo in nessun caso abbassare la sua tutela, è una questione di credibilità delle politiche europee” ha detto il ministro dell’ambiente del Lussemburgo, Carole Dieschbourg.

Ma c’è anche un problema di risorse. Quelle necessarie alla tutela delle aree protette. La rete delle aree protette Ue “produce benefici per 2-300 miliardi di euro l’anno”, ha ricordato Dieschbourg. Il problema è che queste aree sono a corto di risorse: secondo uno studio Ue, conservarle costa 5,8 miliardi di euro, ma appena il 19% arriva dai fondi comunitari e i finanziamenti nazionali non riescono a coprire tutto il resto della spesa.

 

 

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    Dopo la sforbiciata da 270 milioni in tre anni ai fondi per le politiche anti inquinamento, arriva la conferma che dal governo Meloni arriveranno fondi insufficienti anche per il trasporto pubblico locale. La Lombardia è particolarmente penalizzata e se n’è accorto persino il presidente della giunta lombarda Attilio Fontana che ora chiede più risorse al Governo. La Lombardia riceve il 17,6% delle risorse nazionali destinate al trasporto pubblico, una quota che sembra destinata a non aumentare. Il risultato per chi si muove sui mezzi pubblici è che, sia con la mano del governo nazionale, sia con quello di quello regionale, i fondi sono insufficienti. E davanti ai finanziamenti insufficienti tocca ai comuni integrare con fondi propri. Per le opposizioni di centrosinistra la destra è incapace di risolvere i problemi dei cittadini. La denuncia di Simone Negri, consigliere regionale del Pd che si occupa di trasporti.

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