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A Hong Kong Disney Plus taglia una puntata dei Simpson

Quando Homer Simpson ha visitato il mausoleo di Mao Zedong non si è risparmiato “Dorme come un angioletto che ha ucciso 50 milioni di persone”, ha detto. Una battuta dissacrante, in pieno stile Simpson. Nella stessa puntata, la 12esima della 16esima stagione, la famiglia con la pelle gialla più famosa del mondo, in gita in Cina, sfiora – con la leggerezza pungente che la contraddistingue – anche uno degli argomenti più sensibili per il regime cinese: piazza Tienanmen. In una scena rapida, ma impossibile da non notare, i Simpson passano dalla nota piazza di Pechino e si nota un cartello: “In questo posto, nel 1989, non è successo niente”. Il rimando al massacro è chiaro, il messaggio satirico anche.
Ora, quella puntata, uscita per la prima volta nel 2005, è al centro di una polemica. Il servizio streaming Disney Plus, sbarcato ad Hong Kong a metà novembre, offre per gli utenti dell’ex colonia britannica tutte le puntate dei Simpson. Tutte, tranne una: la 12esima della 16esima stagione. Una censura che va ben al di là del cartone statunitense. Da quando Pechino ha
rafforzato la sua stretta sull’isola, imponendo nel 2019 una controversa legge sulla sicurezza, ogni rimando al massacro del 1989 è stato pian piano cancellato. Molti dei rivoluzionari dell’epoca – che ora sono tra gli attivisti pro-democrazia che manifestano da anni per la libertà di Hong Kong – sono stati arrestati, il museo in ricordo del massacro è stato chiuso e la veglia che si teneva ogni anno la sera del 4 giugno è stata proibita. Pechino sta cercando di fare ad Hong Kong quello che ha già fatto in Cina: cancellare quella pagina di storia, negarla finché l’opinione pubblica non se ne dimenticherà.
La legge sulla sicurezza nazionale prevede anche alcune regole sulla censura cinematografica e permette di bloccare la distribuzione di film – stranieri o no – che vengono considerati una minaccia per la sicurezza nazionale. Che raccontano, quindi, qualcosa che alla Cina non piace. Ma la legge si applicherebbe unicamente ai film, e non ai servizi di streaming, come Disney Plus. Quello che per il momento non è chiaro, quindi, è se quella sui Simpson sia una censura imposta dall’alto o, più che altro, un’autocensura. Sulla piattaforma Netflix di Hong Kong, si può ancora vedere un episodio della serie South Park, durante il quale uno dei protagonisti finisce in un campo di lavoro cinese. Tutta la puntata gioca e ironizza sul concetto che i grandi marchi americani aderiscano alla censura cinese per i loro interessi economici. E a voler osservare con un occhio un po’ critico la storia di Disney Plus, nato solo 2 anni fa, non si può fare a meno di pensare che, forse, South Park non si è inventato niente. E che, forse, la decisione di togliere quello specifico episodio, sia stata una decisione interna, e non direttamente imposta.
Innanzitutto Disney Plus aveva già ricevuto molte critiche per aver prodotto il film Mulan. L’adattamento cinematografico del celebre cartone Disney è stato girato nello Xinjiang – la regione cinese dove la minoranza etnica degli Uiguri viene sistematicamente arrestata, torturata e imprigionata – e nei titoli di coda vengono ringraziate proprio le autorità e la polizia della regione. Nel 1988, ben prima della creazione della piattaforma streaming, il direttore esecutivo di Disney dell’epoca, Michael Eisner, si era scusato con il premier cinese per aver prodotto il film di Martin Scorsese “Kundun”, che raccontava l’oppressione della Cina sul popolo tibetano,
definendo la decisione di produrlo “uno stupido errore”. Un ultimo elemento che non va trascurato è che al momento Disney Plus non è disponibile in Cina, ma non ha mai fatto segreto di volersi espandere “in ogni grande paese”. E la Cina, da un punto di vista economico, è certamente un bacino ghiotto. Non sarebbe quindi assurdo pensare che Disney stia cercando di far piacere a Pechino, per guadagnarsi la piazza Cinese che ha più di 1 miliardo di potenziali
utenti. Quello che è chiaro è che il peso cinese su Hong Kong è sempre più forte. Le limitazioni alle libertà sono sempre più stringenti e se nel mondo i soldi continueranno a valere più dei diritti umani, la parabola di Hong Kong è già segnata.

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    Martina Stefanoni
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