Approfondimenti

“I servizi segreti usano i report come arma politica”

Bill Binney è il protagonista di un documentario, “A Good American”, che esce nelle sale italiane il prossimo 2 marzo.

Binney è stato un alto funzionario della National Security Agency americana, la NSA, fino all’ottobre del 2001. Per 32 anni ha servito l’intelligence degli Stati Uniti, durante la Guerra Fredda e anche dopo.

Bill Binney
Bill Binney

La NSA è la stessa agenzia in cui ha lavorato il whistleblower più famoso al mondo, Edward Snowden, che nel 2013 denunciò il programma di sorveglianza di massa dei cittadini americani ad opera proprio della NSA.

Bill Binney è un po’ il precursore di Snowden. Anche per ragioni anagrafiche. Binney ha 73 anni, Snowden ne ha quaranta di meno, 33.

Edward Snowden
Edward Snowden

Il documentario “A Good American” è stato proiettato per la prima volta in un festival cinematografico di Copenhagen nel novembre del 2015. Il regista è l’austriaco Friedrich Moser e tra i produttori c’è anche Oliver Stone.

Oliver Stone
Oliver Stone

Cosa racconta Bill Binney in “A Good American”?

La tesi dell’ex direttore tecnico della NSA è molto netta: gli attentati dell’11 settembre del 2001 potevano essere evitati.

In che modo? Se solo la NSA avesse utilizzato il programma di sorveglianza Thinthread, creato e sperimentato da Binney negli anni ‘90 quando era ai vertici dell’agenzia per la sicurezza. Thinthread, secondo Binney, è un software in grado di captare qualsiasi segnale elettronico sulla terra, filtrarlo e di fornire risultati in tempo reale.

Binney viene descritto nel documentario dai suoi ex collaboratori alla NSA come un genio matematico e grande analista di dati e metadati.

Il suo programma, però, viene accantonato dai vertici dell’agenzia il 20 agosto del 2001, tre settimane prima dell’11 settembre. Al suo posto viene scelto un altro programma di sorveglianza, Trailblazer, molto più costoso e meno efficace, denuncia Binney. La sua tesi è che i vertici della NSA di allora – attraverso il finanziamento di Trailblazer – volessero aiutare con milioni di dollari “gli amici degli amici”.

Bill Binney lascia così la Nsa, il 31 ottobre del 2001. Due le motivazioni: il tradimento del suo Thinthread e l’accusa al programma concorrente Trailblazer di essere responsabile di una sistematica violazione della privacy dei cittadini americani.

Bill Binney lo abbiamo intervistato nei giorni scorsi.

Nell’intervista trasmessa oggi a Memos l’ex dirigente della NSA parla di Trump e del conflitto tra Casa Bianca e intelligence negli Stati Uniti.

Ospite a Memos anche Guido Olimpio, inviato negli Stati Uniti per il Corriere della Sera, che commenta le parole di Binney.

Guido Olimpio
Guido Olimpio

Qui di seguito l’ultima parte dell’intervista a Binney. E’ quella su Trump e i servizi segreti Usa che non rientra tra i temi del documentario.

Come si spiega, Bill Binney, lo scontro tra Trump e i servizi segreti negli Stati Uniti?

«Ho motivo di credere – risponde Binney – che ci possano essere dei cambiamenti per il meglio. Questo conflitto ci dimostra che l’intelligence raccoglie dati sul presidente degli Stati Uniti e cerca di usarli contro il presidente. Ciò dovrebbe indurre ciascuno di noi a dire: se i servizi segreti raccolgono dati sul presidente, allora è chiaro che li hanno anche su di me. I contenuti delle comunicazioni e i metadati vengono raccolti indiscriminatamente su ciascuno. Il problema è che l’intelligence li sta usando come un’arma politica, quando invece la sua attività dovrebbe essere quella di prevenire ogni minaccia e tutelare i cittadini. Quindi, vedo una possibilità: il presidente Trump ha la facoltà di intervenire su questo uso dei dati che viene fatto da parte delle agenzie di sorveglianza, dei servizi segreti. Ho la speranza che possa cambiare per il meglio, nel senso che possa convincere, utilizzare la sua autorità per riportare la NSA e le altre agenzie di intelligence ad operare come organismi professionali e non come armi politiche».

Il Washington Post da alcuni giorni ha inserito sotto la sua testata una frase: “La democrazia muore nell’oscurità”. Lei, Binney, conclude il documentario parlando di una sconfitta della “morale che ha ceduto al lato oscuro”, riferendosi alla vicenda dell’11 settembre. Teme, come il Washinton Post, che la democrazia sia in pericolo negli Stati Uniti?

«In realtà, credo che noi nel lato oscuro ci siamo dai tempi dell’amministrazione Bush con Dick Cheney. Adesso, per come la vedo io – conclude Binney – Trump potrebbe riportarci al lato luminoso».

Ascolta tutta la puntata di Memos con l’integrale di Bill Binney e i commenti di Guido Olimpio

  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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    Iniziamo parlando del festival Coachella 2026 di cui è appena stata annunciata la lineup e ricordando Victor Jara, cantautore cileno simbolo della canzone sociale e di protesta che scomparse oggi 52 anni fa durante la dittatura Pinochet. Proseguiamo con il mini live in studio delle Guthrie Family Singers, trio di discendenti di terza e quarta generazione dell'icona folk americana Woody Guthrie. Nell'ultima parte accenniamo al concerto di raccolta fondi per la Palestina del 18 settembre, organizzato a Firenze da Piero Pelù, e ricordiamo la stella del cinema Robert Redford appena scomparsa.

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    Una Napoli sconosciuta in bianco e nero in “Sotto le nuvole” di Gianfranco Rosi

    Già vincitore di un Leone d’Oro per “Sacro Gra” nel 2013 e di un Orso d’Oro tre anni dopo alla Berlinale, Rosi riceve anche il Premio Speciale della Giuria di Venezia 82. In “Sotto le nuvole” l’esplorazione si sposta nella Napoli della circumvesuviana, in un bianco e nero inedito per la città dei mille colori, tra la terra che ogni tanto trema, sotterranei archeologici in mano alla camorra, la centrale dei Vigili del Fuoco, le fumarole dei Campi Flegrei e il Porto di Torre Annunziata con con una nave siriana che scarica grano ucraino. “È il mio primo film non politico” sostiene Rosi, eppure nel fuoricampo di “Sotto le nuvole” il non detto arriva anche in senso politico. L'intervista di Barbara Sorrentini

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