Non gli bastava la decima come marchio di fabbrica, con quell’ossessivo richiamo alla famigerata divisione fascista che si macchiò di crimini orrendi. Ora Roberto Vannacci sale in cattedra per, parole sue, “dare ripetizioni a chi la storia l’ha imparata sui manuali del Pd”. E via con una serie di dichiarazioni storicamente discutibili, per usare un eufemismo, nel nome del “Mussolini ha fatto anche cose buone”, che riducono quasi a bazzecole le ormai classiche fake news come quella sulla creazione dell’Inps. Superando ogni precedente limite, il generale si lascia andare a una serie di menzogne di chiaro stampo revisionista e apologetiche del fascismo. La marcia su Roma, non fu un colpo di Stato, ma “poco più che una manifestazione di piazza”. Così come tutte le principali leggi del Ventennio, dalla riforma elettorale del 1923 alle norme sul partito unico, fino alle leggi razziali del 1938, che per Vannacci furono approvate dal parlamento e divulgate dal re, secondo le procedure previste dalla legge. Insomma, tutto fatto nel pieno rispetto delle regole democratiche allora vigenti. In mezzo, dimenticate o volontariamente omesse dal generale, ci furono le violenze delle squadracce fasciste, l’assassinio di Giacomo Matteotti e di Piero Gobetti, l’arresto di Antonio Gramsci e la promulgazione delle leggi fascistissime, solo per citare alcuni fatti. Ma Vannacci su tutto questo, e su quella che fu una sanguinaria dittatura, fa spallucce. Nel silenzio del suo partito.


