
Il lato grottesco della faccenda, come sa essere grottesca la politica italiana al suo meglio, è che Gennaro Sangiuliano potrebbe doversi contendere i voti con Maria Rosaria Boccia, l’imprenditrice di Pompei con cui ebbe una relazione extraconiugale dove prevalse il gossip, come quando lei gli fece un taglio in testa che lui esibì pubblicamente. Sangiuliano capolista con Fratelli d’Italia, Boccia in trattativa con Bandecchi. Ma c’è poco da ridere: Sangiuliano era ministro della Cultura del governo Meloni e quella relazione gli costò il posto perché fu sospettato di aver pagato impropriamente all’amante delle trasferte di lavoro e piacere insieme, perché lui l’aveva fatta entrare nel suo staff, a che titolo non si sa.
Dopo il licenziamento, la breve purga: rientrato in Rai, gli fu impartito un periodo a riposo in un ufficio a Borgo Pio, accanto al Vaticano, fino all’incarico prestigioso e profumatamente pagato di corrispondente da Parigi per il Tg2, di cui era stato direttore. Questo lo ha rimesso in pista anche politicamente. La sua è stata una carriera esemplare di un certo modo di intendere la politica e il giornalismo in Italia, come due funzioni intercambiabili. Cresciuto nel Movimento Sociale Italiano all’ombra di Almirante, ne divenne responsabile culturale. Poi la carriera in Rai fino ai massimi livelli e infine il salto al ministero, il suo vecchio sogno. E’ caduto nel più banale e stereotipato, arci italiano, dei modi, squallido come certe commedie di serie B di tanti anni fa. Nel suo mandato non è riuscito a lasciare un segno -niente battute- ma ha organizzato una mastodontica e criticatissima mostra sul Futurismo, perché a destra gli orizzonti sono ristretti e sempre uguali. Per lui la candidatura in Campania è un viatico per tornare in pista, anche se giura che il potere non gli manca. La visibilità necessaria l’hanno pagata i contribuenti, con il canone Rai.