
Il premio Nobel per l’economia 2025 da 11 milioni di corone svedesi (un milione di euro) è stato assegnato per metà agli economisti francese Philippe Aghion e canadese Peter Howitt. L’altra metà del premio, invece, è andata allo storico dell’economia Joel Mokyr, olandese.
La Royal Swedish Academy of Sciences ha scritto nel suo “popular science background” (la “spiega” del premio per i non professionisti dell’economia): “Negli ultimi 200 anni, il mondo ha conosciuto una crescita economica senza precedenti. La sua base è il continuo flusso di innovazione tecnologica: una crescita economica sostenuta si verifica quando le nuove tecnologie sostituiscono le vecchie, in un processo noto come distruzione creatrice. I vincitori di quest’anno del Premio Nobel per le Scienze Economiche spiegano, con metodi diversi, perché questo sviluppo è stato possibile e cosa è necessario per proseguire la crescita”. Come avviene questa sostituzione tra vecchie e nuove tecnologie all’interno di un’impresa? Che cosa facilita e cosa rallenta o blocca l’innovazione? Quando l’innovazione favorisce la formazione di monopoli? Qual è il ruolo dell’intervento pubblico?Le risposte a questi interrogativi nei commenti di due economisti: Emiliano Brancaccio, docente all’Università del Sannio e saggista; e Andrea Capussela, ricercatore alla London School of Economics.
Emiliano Brancaccio:
Il contributo più celebrato è probabilmente quello di Aghion e Howitt che hanno realizzato un modello definito di “distruzione creatrice”.
L’idea, tratta da Schumpeter, il grande economista austriaco dei primi del ‘900, è che lo sviluppo economico viene generato dal continuo rinnovamento e dalla continua distruzione di imprese e di tecnologie. Poi c’è l’altro contributo di Joel Mokyr che è lo studio dei legami tra libertà e innovazione. Mokyr sostiene che senza istituzioni aperte al confronto e alla libera circolazione delle idee, gli investimenti innovativi stagnano e le tecnologie non evolvono. Diciamo che è un po’ un pizzino per quei liberali pentiti che guardano oggi con fascinazione ai regimi autoritari immaginando che questi siano modelli economicamente più efficienti. Mokir dice assolutamente di no.Professor Brancaccio, l’innovazione, il progresso tecnologico, hanno un segno oppure sono neutrali, neutri?
Questi economisti probabilmente direbbero che sono neutri, nel senso che non indagano tanto sulle implicazioni politiche, sociali e culturali dell’innovazione, ma il pensiero critico ci insegna, al contrario, che lo sviluppo tecnologico e l’innovazione – guidati dal profitto – sono poi orientati a servire gli interessi del profitto. Ecco, forse questo è un elemento un po’ implicito nelle tesi di questi autori.
Andrea Capussela:
Il significato più immediato dell’assegnazione del premio è un riconoscimento alla cosiddetta teoria schumpeteriana della crescita, che è quella che a mio parere è più soddisfacente. È una teoria che nasce da Joseph Schumpeter, da un libro pubblicato nel 1942, libro che sosteneva che nel lungo termine, soprattutto, la crescita economica, la prosperità, lo sviluppo delle nazioni dipende dall’innovazione, dal progresso delle idee.
E l’innovazione, però, in questa teoria, non è la pacifica crescita delle conoscenze umane. È un processo conflittuale, dialettico. Immaginiamo, ad esempio, il trasporto. C’è il trasporto a cavalli, qualcuno inventa il treno con il motore a vapore. Il treno a vapore conquista tutto il mercato in precedenza coperto dal trasporto a cavalli. E così poi viene inventato il treno elettrico che toglie il mercato al treno a vapore e conquista questo mercato. Ora, Schumpeter era pessimista sul futuro del capitalismo perché si immaginava che questi grandi imprenditori innovatori – che grazie all’innovazione conquistano interi mercati – rischiano poi di acquistare così tanto potere politico informale da essere capaci di bloccare, sopprimere le future possibili innovazioni che minacciano di togliere i mercati che si sono conquistati. Schumpeter per questo era pessimista. Aghion e Howitt scrivono nel 1992 un bellissimo articolo che tenta di sviluppare – sulle base delle idee di Schumpeter – un modello più formale, più formalizzato di sviluppo economico e meno pessimista. I due studiosi scrivono che l’intervento pubblico, cioè mantenere i mercati aperti alla concorrenza, aiutare i nuovi innovatori e intervenire nel settore del potere politico per far sì che questi innovatori non acquisiscano un tale potere politico da potersi proteggere da futuri innovatori. In questo modo, con questi interventi dello Stato, del settore pubblico, si può mantenere lo spazio aperto a future innovazioni e quindi dare più spazio alla crescita di lungo periodo. Il terzo vincitore del Nobel, Mokyr, è uno che ha usato questa teoria, soprattutto per spiegare importanti giunture della storia economica, per esempio la rivoluzione industriale. Mokyr la lega, in gran parte, a quel processo di circolazione di nuove idee che hanno messo in moto una serie di di processi di questo genere. Secondo me, è un’ottima notizia che sia stato dato il premio Nobel a questi tre economisti: per la qualità del loro lavoro, ma anche per il significato, non solo economico, ma in un certo senso anche politico, delle loro teorie. Sono teorie che vogliono mercati aperti, contendibili, e soprattutto richiedono una politica aperta e attenta all’interesse generale, all’interesse dei cittadini, tale da essere capace di imporsi agli interessi dei grandi oligopolisti o dei grandi monopolisti. Questo è un tema cruciale oggi quando vediamo che le grandi imprese del settore digitale come Amazon, Google, etc., in realtà hanno proprio preso questa posizione di monopolisti e questi stessi economisti che hanno vinto il Nobel hanno dimostrato empiricamente che queste grandi imprese stanno comprimendo l’innovazione che avremmo potuto vedere in questi anni.E ciò accade – se pensiamo agli Usa – con il consenso della politica dove il potere delle BigTech è certificato, sostenuto, condiviso dallo stesso Trump, cioè dal capo del potere politico negli Stati Uniti.
Esattamente. Questo è il problema sul quale, dal punto di vista teorico e con forte appoggio di analisi empirica, mettono il dito questi economisti.
E, quindi, le ricadute politiche di questo modello di crescita e della loro analisi empirica sono dirette e molto significative. Mi auguro che l’assegnazione del Nobel 2025 sia l’occasione per parlarne, anche sulla stampa italiana, e per portarci tutti ad interrogarci su questo tema. Anche i liberali, anche i neoliberali, devono interrogarsi su questo punto, e cioè fino a che punto è tollerabile un tale livello di concentrazione di potere economico con le sue ricadute politiche.Lei sta per pubblicare un nuovo libro. Quando uscirà e di cosa si tratta?
Esce il 21 novembre prossimo, in inglese, e si intitola “The Republic of Innovation. A new political economy of freedom”. E’ un tentativo di mettere insieme questa teoria che ha vinto il premio Nobel di oggi con la teoria politica repubblicana.