
I numeri danno la dimensione di quello che si è mosso: tre milioni di persone in due giorni e centinaia di città mobilitate per quattro giorni consecutivi. E prima ancora due anni di movimento, cresciuto mentre cresceva l’orrore di Gaza. Numeri che sfuggono a qualsiasi partito, sindacato, associazione o movimento antagonista, e che solo in parte ne sono la somma. La rabbia contro il genocidio ha fatto saltare il tappo dell’immobilismo politico e sociale italiano. Un movimento che in pochi hanno visto arrivare e con cui tutti si dovranno confrontare. Ieri Roma è stata la somma di tutte le piazze italiane. Un popolo. Con tutte le sue sfaccettature e diversità, ma – per una volta – unito. Non per rivendicare o difendere diritti propri, ma quelli di altri: i palestinesi oppressi da Israele. Manifestando per loro, però, hanno iniziato a parlare di sé stessi. Si stanno politicizzando insieme, strada facendo: oltre Gaza? Queste giornate resteranno nella Storia soprattutto se le guardiamo con gli occhi della Gen Z, la generazione di chi ha meno di 25 anni, una generazione che si pensava chiusa nel disagio post Covid e che, invece, sta occupando spazio pubblico e sta prendendo parola, senza leader o organizzazioni già strutturate. Lo spontaneismo è stata la cifra di queste giornate, con l’effetto di rendere collettivo un sentimento fino a poco prima vissuto individualmente. Per loro, per la Gen Z, queste giornate sono anche il primo messaggio recapitato a Giorgia Meloni e a un Governo che i giovani li vuole addomesticati impauriti fin dal primo giorno, quando licenziarono quell’insensato decreto anti rave. Servirà tempo, ma qualcosa si è mosso.