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Nelle Marche profonde, dove la destra è diventata egemone

Matteo Ricci ed Elly Schlein nelle Marche

È nelle aree interne che il centrosinistra ha perso le elezioni regionali delle Marche. Nelle aree più povere o impoverite. Dal terremoto e dalla fine dell’era industriale e di un modello che, in un passato che sembra oggi lontanissimo, aveva garantito sviluppo e integrazione sociale. Dopo il terremoto e dopo le crisi industriali non è sparito solo quel modello, sostituito da disoccupazione e condizioni di lavoro precario e malpagato. È sparita anche la sinistra. La campagna elettorale di Ricci si è giocata sulla costa, nelle città. Le aree interne sono state egemonizzate dalla destra e il risultato è lo specchio di una dinamica ormai radicata. “I politici di Fratelli d’Italia non si sono persi una sagra, gli altri non c’erano” spiegano. A un livello più profondo, la destra ha lavorato per diventare in questi anni il riferimento del piccolo imprenditore e del suo dipendente, ha gestito i fondi della ricostruzione post terremoto e, novità, ha iniziato a costruire quello che le mancava: una classe dirigente locale. Se la si osserva dalle Marche e dalle sue zone più in sofferenza, Giorgia Meloni non è più la “underdog”, come amava definirsi, ma è la segretaria di un partito che vince perché si consolida. Sempre vista dalle Marche, la sinistra non è più certa di mantenere quanto aveva considerato un monopolio: la preminenza nella capacità di amministrare.“I marchigiani non ci hanno ascoltati” ha detto ieri a caldo dopo la sconfitta Matteo Ricci. “I marchigiani non hanno ritenuto le proposte della sinistra convincenti” dice oggi, ad esempio, la segretaria della Uil delle Marche, Claudia Mazzucchelli. Non è una differenza lessicale, è una differenza di sostanza.

Si possono ricercare cause profonde della sconfitta del campo largo nelle Marche che vadano al di là delle geometrie politiche pure e semplici? Se sì, le cause vanno ricercate nelle mancate risposte date alla crisi del lavoro, soprattutto nelle aree interne, che sono anche quelle colpite dal terremoto oltre che dalla trasformazione delle imprese. “Assistiamo al ritorno di condizioni di lavoro quasi ottocentesche” dice il professor Antonio Di Stasi, neo preside della facoltà di economia dell’Università Politecnica delle Marche.

Contesti in cui la destra è presente coi suoi rappresentanti mentre la sinistra sembra avere abbandonato il campo come conferma Claudia Mazzucchelli, segretaria regionale della Uil delle Marche.

  • Autore articolo
    Luigi Ambrosio
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    Il Festival 'Aperto' di Reggio Emilia, contro la marea montante dell’osceno

    31 spettacoli, 60 repliche, 16 produzioni e coproduzioni, 9 prime assolute, 15 prime italiane. Nel cambiamento vertiginoso sotto i nostri occhi, il mondo offre lo spettacolo tossico, disunito, venale e orrendo, delle brutalità belliche, delle indegnità senza vergogna, dell’arroganza dei forti, del sopruso o addirittura soppressione dei deboli. E di tanta (seguendo Gramsci) odiosa indifferenza. Uno spettacolo osceno. Da ob-skené = che non-pertiene-alla-scena. Il Festival Aperto offre uno spettacolo diverso, fatto di idee che criticano, artisti e persone che dialogano, vigili, consce della complessità. Ira Rubini ne ha parlato con Paolo Cantu, il curatore di questa 17esima edizione del festival.

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    Oggi a Volume si parla del nuovo album dei Geese, di quello di Robert Plant e di un nuovo biopic in arrivo su Rino Gaetano. Proseguiamo al telefono con Giulia Blasi, giornalista e scrittrice che ci presenta oggi il suo nuovo libro “La felicità è un atto politico”. Nella seconda parte giochiamo con gli ascoltatori commentando una classifica riguardante i più bei pezzi di David Bowie e con il quiz sul cinema oggi dedicato al film Carlito’s Way di Brian del Palma.

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