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Cina e India, il nuovo polo geopolitico in costruzione

Cina e India, il nuovo polo geopolitico in costruzione

La grande notizia emersa dal vertice della SCO (la Shanghai Cooperation Organisation) conclusosi il primo settembre è stato l’avvicinamento tra India e Cina. I due giganti demografici mondiali non hanno mai avuto buone relazioni: l’India ha sempre difeso il proprio ruolo autonomo, collocandosi nella sfera geopolitica degli Stati Uniti. Ma sanno di essere i due Paesi che contano veramente nel gruppo dei BRICS e di avere le carte in regola per far cambiare marcia al processo di riorganizzazione degli equilibri mondiali, indirizzando l’uscita dal caos attuale.

Insieme, hanno una forza che si fonda sul potere economico, e ora anche militare, di Pechino, ma anche sulle dimensioni enormi dei loro mercati interni e sulla capacità di produrre beni esportabili, anche in questo caso a traino cinese. Insieme, sono i due Paesi che hanno permesso alla Russia di continuare a condurre la guerra in Ucraina senza subire serie conseguenze dalle sanzioni occidentali. Diversamente da ciò che racconta Trump, che affermava di poter chiudere il conflitto in 24 ore, sono i governi di India e Cina quelli che potrebbero fermarlo sul serio in poche settimane, semplicemente non comprando più i prodotti russi in svendita. È una questione di armi ed energia fossile, ma anche di tempo. Pechino e Nuova Delhi continueranno a dare ossigeno a Putin finché non avranno dimostrato il loro potere, e finché sarà chiaro che la Russia è diventata un vassallo economico della Cina. Un vassallo gigantesco, ricchissimo di materie prime e dotato di armi nucleari in grado di competere con quelle degli Stati Uniti, che è stato regalato a Pechino dall’Occidente.

Senza dubbio gli interessi di Cina e India non sono esattamente gli stessi, anche per via delle profonde differenze culturali e politiche. L’India della profonda religiosità, e con un sistema democratico su base federale, non è la Cina laica di un regime che rimane nominalmente comunista. Eppure, quando i due giganti guardano il resto del mondo, queste differenze si fanno meno rilevanti. E l’India sta iniziando a ricalcare le orme della Cina, insinuandosi timidamente in quei mondi che di recente sono stati “colonizzati” da Pechino: Asia centrale, Africa orientale, Sudamerica. Non ha da offrire le merci e i servizi dell’infinito catalogo cinese, ma mette sul piatto tecnologie non indifferenti in diversi settori produttivi e la possibilità di fare affari con un mercato di oltre 1,4 miliardi di persone.

Soprattutto, Cina e India insieme possono offrire un ombrello politico ai Paesi che infrangono le regole della comunità internazionale o che non sono “simpatici” alle potenze occidentali: un asset che è diventato preziosissimo, ai tempi di Trump. Come per la Russia di Putin, anche per la Corea del Nord di Kim Jong-un, per il Myanmar dei generali e per il Venezuela di Maduro diventa vitale poter contare sul loro sostegno economico e diplomatico, soprattutto quello della Cina, che ha un seggio permanente con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza ONU. Ecco perché di Gaza e del Medio Oriente le due potenze asiatiche non si sono minimamente interessate: hanno il petrolio garantito dalla Russia e dal Venezuela. Invece si interessano, eccome, di Africa, e soprattutto del Maghreb e dell’area subsahariana, dove hanno sostenuto tutti i colpi di Stato che hanno scacciato i francesi dalla zona.

L’Africa, il Sudamerica e l’Asia meridionale sono strategici per i giacimenti di materie prime minerarie necessarie per l’industria del futuro e per garantire la sicurezza alimentare a una popolazione enorme. Non a caso, la Cina ha appena abolito tutti i dazi per le merci africane importate: una lezione per chi vive aggrappato a vecchi privilegi o per chi crede che i dazi portino fortuna.
Era solo una questione di tempo: presto o tardi, i due Paesi che da soli rappresentano quasi metà dell’umanità avrebbero capito che insieme possono provare a diventare il nuovo polo attorno al quale gira il resto del mondo. Per ora si stanno solo avvicinando all’obiettivo, ma la lotta per l’egemonia nel nuovo ordine mondiale è ufficialmente aperta.

  • Autore articolo
    Alfredo Somoza
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    La casa editrice "Passaggio al Bosco", che pubblica testi fascisti e nazisti, non è stata esclusa da "Più libri Più liberi", la fiera dell’editoria di Roma. E ieri il ministro della Cultura Giuli, che a sua volta proviene dalla destra radicale, ha cercato di mettere a tacere le proteste in nome del pluralismo. La decisione di alcuni autori, come Zero Calcare, di non partecipare alla manifestazione e l’appello per l’estromissione della casa editrice che ha in catalogo buona parte dell’armamentario ideologico del nazifascismo, firmato da decine di personalità della cultura, non sono serviti a nulla. "Passaggio al Bosco" è legata al gruppo Casaggi di Firenze, che è una cerniera tra la destra neofascista e i giovani di Fratelli d’Italia. Luigi Ambrosio ne ha parlato con Valerio Renzi, giornalista esperto di estrema destra.

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