
Il ragazzo con la Leica ci ha lasciato. Gianni Berengo Gardin, uno dei più grandi fotografi del ‘900. Classe 1930, era nato a Santa Margherita Ligure, ma considerava Venezia la sua città natale. E tutti abbiamo negli occhi le sue immagini di Piazza San Marco, poetiche. Ma lui diceva che non erano foto artistiche, ma sociali, civili, e con le sue immagini ha documentato – per esempio – lo scempio delle grandi navi in Laguna.
I campi nomadi, l’Italia contadina del dopo guerra, i lavoratori e il loro sfruttamento in fabbrica, le periferie urbane. E nel 1969, insieme a Carla Cerati, ci ha fatto sapere che cosa accadeva dentro i manicomi con il libro “Morire di classe”. Fotografie che contribuirono alla battaglia culturale che poi portò, nel 1978, alla legge Basaglia.
Duecentosessanta libri, 360 mostre, Gianni Berengo Gardin ha collaborato con le più importanti e prestigiose testate, Domus, Epoca, L’Espresso, Le Figaro, The Times, Stern, con De Agostini. Tanto generoso anche nelle interviste a noi di Radio Popolare. Ci mancherà il suo sguardo. E il suo sorriso dolce.
Vi riproponiamo l’intervista a Radio Popolare di Berengo Gardin, in cui parla del suo famoso lavoro “Morire di classe” (1969) che fece scoprire la vita dentro i manicomi e contribuì alla battaglia culturale che poi portò alle legge Basaglia: